Trecce
I ragazzi entrano nella vecchia casa di pietra, con i capelli ancora arruffati e nello stomaco il languore del bisogno di una buona colazione. Scendono i due scalini che portano nell’unico ampio locale, il grande camino sulla destra, sulla sinistra il lavandino e i pensili, attaccato alla parete lunga il tavolo di legno che riesce a ospitare l’intera famiglia. Con un gesto quasi meccanico, come ogni mattina, il più giovane tira fuori dalla tasca dei pantaloncini corti il cellulare, e come ogni mattina realizza che quelle pareti spesse un metro ne impediscono il funzionamento. Nel centro esatto della stanza su uno sgabello basso di legno siede una donna anziana; è piccola e robusta, e veste di nero fin da prima di sposarsi, fin da quando il mondo – tutto il mondo – era semplicemente un’altra cosa. Davanti ai suoi piedi ha appoggiato una bacinella di plastica blu piena di acqua e sapone. Senza dire una parola scioglie il nodo del fazzoletto, nero anch’esso, che le copre la testa per buona parte della giornata e si fa cadere in grembo due lunghe trecce di capelli grigi. Scioglie anche quelle, assorta, e inizia il suo rito di ogni mattina, il lento e arcaico lavaggio dei capelli, di quell’unica immagine di donna che fa uscire dalla coperta del lutto per un quarto d’ora al giorno. Con calma li ravvia, li stira, li accarezza accompagnando con la mano il movimento del pettine. Nel silenzio, i due ragazzi iniziano a prepararsi la colazione cercando di non osservare la donna come per non essere indiscreti. La donna si asciuga i lunghi capelli che, sciolti, le arrivano alla schiena, e inizia a riannodarli nelle due trecce. I due ragazzi scambiano qualche chiacchiera nel loro accento cittadino. Quando la donna riprende in mano il fazzoletto nero che si annoderà in testa, il più grande dei ragazzi la saluta, ciao nonna, e non aggiunge altro perché non c’è mai stato bisogno di molte parole in quella casa. Dall’esterno arriva il suono degli zoccoli di un asino che calpestano le pietre della via che si arrampica verso il vecchio asilo del paese. La donna gira il suo volto preistorico verso i ragazzi, e forse si chiede cosa sia successo nel mondo perché lei oggi si ritrovi a fissare due adolescenti in magliette con grandi scritte e ciabatte infradito sapendo che quelli sono suoi nipoti. Prende la bacinella blu per i due manici, la solleva, si alza lentamente. E’ un qualsiasi giorno di agosto.