Cammino per Harlem guardando le brownstones, i parrucchieri, gli anziani eleganti con le scarpe bicolori lucide e splendenti, le perline che adornano i capelli di una donna seduta all’angolo della Centoventicinquesima, le bancarelle di profumi e di cd masterizzati – Motown Selection Vol. One – le sneakers appese a un palo della luce, due ragazzini che sfrecciano su skateboard più grandi di loro. A un certo punto sento una voce di uomo venire da un edificio, mi fermo, mi guardo intorno, e capisco che quella è la voce del pastore della Canaan Baptist Church of Christ che sta predicando, sento le sue parole e sento la gente che risponde, e sento musica. Mi fermo, entro timidamente, siamo quattro o cinque europei, ci fermiamo all’ingresso senza sapere bene cosa fare fino a quando ci fanno cenno di lasciare giù i nostri zaini e le nostre macchine fotografiche e di entrare, ed entriamo, e ci sono persone bellissime ed elegantissime, le donne vestite di bianco e gli uomini di nero e hanno tutti i guanti, e queste persone ci fanno accomodare nei banchi, dove noi siamo con le nostre t-shirt e i nostri jeans sdruciti e i fedeli invece sono vestiti di tutto punto, sono vestiti da festa perché questa è una festa, e le donne hanno questi cappelli stupendi di ogni forma e dimensione, e gli uomini hanno i loro completi con le cravatte annodate strette, ed è tutto già visto in un milione di film, ed è tutto già sentito in un milione di dischi, ma poi quando i ragazzi del coro – e saranno quasi cinquanta – iniziano a cantare “I’m a believer” e la musica è pianoforte batteria chitarra, e si riempie tutto di suoni, e la gente si alza e batte le mani, là sulla sinistra c’è una coppia, saranno marito e moglie e non hanno meno di settantacinque anni ciascuno e sono in piedi e ondeggiano a ritmo che uno pensa ai nostri concerti e pare tutto finto perché questa gente ha la musica dentro, dentro da mille anni, e tutto cresce che ti vengono le lacrime agli occhi perché hai la sensazione che facendoti entrare ti abbiano fatto un regalo, il regalo di una mezz’ora di trasporto e bellezza ed emozione, di cose che per un po’ ti fanno sentire migliore di quel che sei per davvero, di cose che ti rendi conto non sono folklore per i turisti ma sono vita – anche se la vita della domenica – e poi il pastore riprende a parlare e c’è chi risponde “Yes, man” e chi “Oh Lord” e tu vorresti soltanto alzarti e abbracciare qualcuno, qualcuno a caso – una delle donne vestite di bianco che fanno accoglienza, quell’uomo là in fondo che sembra il poliziotto anziano di Cold Case – e dirgli grazie, grazie e basta, e poi finisce, esci, cammini cinque minuti e sei davanti all’Apollo Theatre, a millemila chilometri da casa e ti senti tanto, tanto lontano, da tutto e da tutti.