Stories of the Bund – Il sabato del villaggio
Arrivo a Shanghai nel primo giorno lavorativo dopo le feste del capodanno cinese. Qui la tradizione vuole che per iniziare il nuovo anno uno torni al suo paese natale, così le città si svuotano e milioni di persone ritornano, chissà quanto di buon grado, nelle campagne dove sono cresciute. Del primo giorno dell’anno c’è l’atmosfera, quella specie di rilassata spossatezza che prende dopo le grandi feste: non ho mai visto così poche macchine e persone in giro per le strade, non ho mai sentito tanto silenzio in questa città immensamente grande, popolata e rumorosa. Sembra di girare per Milano alle otto del mattino del primo gennaio, o per Bourbon Street alle nove di un qualsiasi mattino feriale quando le suole rimangono attaccate all’asfalto impastato di birra e vomito. E’ bellissima Shanghai in questo momento, una sera di vento gelido, di stelle luminose attaccate agli alberi che ballano come foglie in autunno, di fiori viola messi per lunghe intere pareti a dare colore, di aria limpida (dice che quest’anno i fuochi beneaugurali sono stati ridotti della metà per non rendere le città ancor più inquinate di quanto già siano di solito, chissà se dimezzare la festa serve a qualcosa, se porta bene o no): pare un villaggio che va a finire il suo sabato, non importa se le regole del business lo hanno reso lavorativo, con una specie di lungo sospiro a darsi forza per l’anno che sta arrivando, e che tra un anno finirà.