Con un braccio da airone
C’è questa scena, uno dei due uomini ha appena rimesso i piedi a terra dopo aver infilato il pallone nel canestro. Un tiro da tre punti, uno dei mille che ha tirato nella sua carriera. Sono gli ultimi secondi della partita, una partita tirata, che la squadra dei due uomini gioca contro una squadra più giovane, fatta di grandi talenti e muscoli più forti e freschi. Eppure sono lì, punto a punto. Si avvicina il secondo uomo, che è più alto del primo di una ventina di centimetri e ha due braccia da airone e due mani da geisha, si avvicina al primo e gli avvolge un braccio intorno al collo come fanno i ragazzini quando vogliono molestare un compagno di classe, gli avvolge il braccio intorno al collo e lo tira a sé, gli appoggia la guancia sulla testa e stringe al petto il volto dell’uomo che ha appena segnato l’ennesimo canestro da tre punti. C’è questa scena, è il fermo immagine di una vita passata insieme, centinaia e centinaia di partite, migliaia di ore di allenamenti, milioni di chilometri di viaggio, distorsioni, coppe, passaggi fatti senza guardarsi, cadute, salti, palleggi, sconfitte, tutto insieme, rinunciando sempre a un pezzo di sé a favore dell’altro perché è solo così che tieni in piedi una squadra. Nel momento in cui ho visto quell’immagine mi sono venuti in mente un paio di colleghi, quelli che viaggi e budget e riunioni e facciamoci venire un’idea e riproviamoci ancora, quelli che in fondo non sai se chiamare amici ma sono una parte di te, sui quali hai sempre potuto contare, per i quali hai fatto sacrifici senza considerarli tali, e ho pensato che ognuno dovrebbe avere in regalo un collega così, un compagno così, uno da abbracciare e ringraziare senza provare una sola stilla di invidia, ognuno dovrebbe almeno una volta nella vita essere Tim Duncan per allungare un braccio da airone e stringere al petto Manu Ginobili.