Toys’r’hell
Sette di sera, nel reparto giocattoli di un qualsiasi centro commerciale.
Due uomini, di età compresa tra i trentacinque ed i quarant’anni, pendolano davanti allo scaffale dei peluches.
Il primo deve cercare Tippete, il secondo Pimpi. Sia l’uno che l’altro hanno solo una pallida idea della foggia, del colore e del genere animale dell’oggetto della loro ricerca.
Di fronte a loro si staglia una impressionante muraglia di nani, bianchenevi, hamtari, uinnidepu. Frugano nella memoria, alla ricerca di un dettaglio decisivo, che permetta di identificare con certezza Tippete l’uno, e Pimpi l’altro.
Un filo di sudore imperla la fronte del primo, le mani del secondo affondano nelle tasche del giubbotto, a nascondere il tremolio nervoso. A casa c’è qualcuno che aspetta, qualcuno che non perdonerebbe l’errore, qualcuno che darebbe in escandescenze per un coniglio (o era un maiale?) scambiato per un asino (o era un orso?).
I due si incrociano, si sfiorano, hanno – per un istante – la tentazione di fermarsi e confidarsi e cercare un conforto, o almeno uno che sappia che cazzo di faccia ha quel fottuto bastardo di Pimpi (o era Tippete?).
Ma resistono, vogliono farcela, frugano tra Eolo e Mammolo, nel caso che il ricercato sia nascosto in fondo allo scaffale.
Una voce metallica annuncia che tra cinque minuti il centro commerciale chiuderà, invita i signori clienti ad avvicinarsi all’uscita. Ecco, ce l’hanno fatta. Il primo non ha trovato Pimpi, il secondo non ha rintracciato Tippete. Ma entrambi hanno scampato il rischio di un acquisto sbagliato.
“Tesoro, ti assicuro, ce ne saranno stati duecento, di peluches; ma nemmeno l’ombra di Pimpi”.
“Coglione, dovevi cercare Tippete”.