Il siparietto descritto da Gianluca mi fa tornare in mente la sera in cui, a Roma per lavoro e dotato di autovettura, presi l’imprudente decisione di avventurarmi verso il centro della Città Eterna, in compagnia di un paio di colleghi.
Tra questi, uno aveva frequentato Roma a lungo, negli anni precedenti, e millantava conoscenza non solo dei luoghi, ma anche della viabilità della capitale. Così, felici per aver concluso una giornata di fiera e desiderosi di bucatini all’amatriciana, si montò sulla Fiat Marea e, sprezzanti del pericolo, ci si avviò.
Dopo un periodo di tempo che mi parve interminabile, costellato di “Per di qua“, “Per di là“, “La prima a sinistra“, “Cazzo, è un senso unico“, ci trovammo all’imbocco di una vietta, larga quanto una calle veneziana (almeno, così mi pare di ricordare). Quello che segue è il resoconto stenografico della conversazione avvenuta a bordo (attenzione: recitare tutto con l’inflessione alla Renato Pozzetto, altrimenti non viene bene).
S – Dove vado?
M – Girà lì a sinistra.
S – Sei sicuro?
M – Eccazzo, l’avrò fatta cento volte, non ti preoccupare.
S – No, è che è strettina, non vorrei sfregiare la macchina.
M – Ma figurati, basta che stai un po’ attento.
S – Hm. Allora, vado?
M – Vai, vai.
S – Cazzo, ma è stretta davvero.
(…)
S – Scusa, ma dove siamo?
M – Boh, non mi pare (nome del luogo dove eravamo diretti)
S – In effetti. Siamo in Piazza Navona, testa di cazzo.
M – Oddio, è vero. Ma come abbiamo fatto?
S – Che cazzo ne so? Sei tu che fai il navigatore! E adesso?
M – Beh, dai, già che ci siamo, lasciala lì, vicino a quel portone (sul quale campeggiava un cartello di divieto grande quanto San Marino).
S – Sei impazzito? Maccazzo, andiamo via subito!
(Escono dalla piazza. Il collega seduto sul sedile posteriore ha assistito alla scena pendolando tra lo sgomento e l’incredulità. I tre mostrano di avere – cume se dis chi a Milan – più culo che anima, e riescono a ritornare in zona un po’ meno off limits senza incontrare nè vigili urbani nè esponenti delle forze armate).
PS – Il giorno dopo, i tre si ritrovano con il collega che abita a Roma. Gli raccontano dell’accaduto; il suo lapidario commento è “Regà, so’ quarant’anni che ce provo a fa’ ‘sta cosa, e nun ce so’ mai riuscito. Siete gajardi, siete“.