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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    12/01/2005

    Hic!

    Filed under: — JE6 @ 13:43

    D’altra parte, pagando così poco non si può aver diritto a piloti sobri.
    Repubblica.it

    Lasciala qui, chi vuoi che la veda

    Filed under: — JE6 @ 13:39

    Il siparietto descritto da Gianluca mi fa tornare in mente la sera in cui, a Roma per lavoro e dotato di autovettura, presi l’imprudente decisione di avventurarmi verso il centro della Città Eterna, in compagnia di un paio di colleghi.
    Tra questi, uno aveva frequentato Roma a lungo, negli anni precedenti, e millantava conoscenza non solo dei luoghi, ma anche della viabilità della capitale. Così, felici per aver concluso una giornata di fiera e desiderosi di bucatini all’amatriciana, si montò sulla Fiat Marea e, sprezzanti del pericolo, ci si avviò.
    Dopo un periodo di tempo che mi parve interminabile, costellato di “Per di qua“, “Per di là“, “La prima a sinistra“, “Cazzo, è un senso unico“, ci trovammo all’imbocco di una vietta, larga quanto una calle veneziana (almeno, così mi pare di ricordare). Quello che segue è il resoconto stenografico della conversazione avvenuta a bordo (attenzione: recitare tutto con l’inflessione alla Renato Pozzetto, altrimenti non viene bene).
    S – Dove vado?
    M – Girà lì a sinistra.
    S – Sei sicuro?
    M – Eccazzo, l’avrò fatta cento volte, non ti preoccupare.
    S – No, è che è strettina, non vorrei sfregiare la macchina.
    M – Ma figurati, basta che stai un po’ attento.
    S – Hm. Allora, vado?
    M – Vai, vai.
    S – Cazzo, ma è stretta davvero.
    (…)
    S – Scusa, ma dove siamo?
    M – Boh, non mi pare (nome del luogo dove eravamo diretti)
    S – In effetti. Siamo in Piazza Navona, testa di cazzo.
    M – Oddio, è vero. Ma come abbiamo fatto?
    S – Che cazzo ne so? Sei tu che fai il navigatore! E adesso?
    M – Beh, dai, già che ci siamo, lasciala lì, vicino a quel portone (sul quale campeggiava un cartello di divieto grande quanto San Marino).
    S – Sei impazzito? Maccazzo, andiamo via subito!
    (Escono dalla piazza. Il collega seduto sul sedile posteriore ha assistito alla scena pendolando tra lo sgomento e l’incredulità. I tre mostrano di avere – cume se dis chi a Milan – più culo che anima, e riescono a ritornare in zona un po’ meno off limits senza incontrare nè vigili urbani nè esponenti delle forze armate).

    PS – Il giorno dopo, i tre si ritrovano con il collega che abita a Roma. Gli raccontano dell’accaduto; il suo lapidario commento è “Regà, so’ quarant’anni che ce provo a fa’ ‘sta cosa, e nun ce so’ mai riuscito. Siete gajardi, siete“.

    L’abito fa il monaco?

    Filed under: — JE6 @ 11:59

    [Aria fritta, oggi]

    Di solito non ho bisogno di andare al lavoro in giacca e cravatta; lo faccio se ho voglia. Oggi – eccezione – dovevo mettermi “bello” (stop laughing, please), dato che avrei dovuto incontrare alcune persone le quali, lo sapevo per esperienza, si sarebbero “messe belle” anch’esse. Il classico appuntamento di lavoro, insomma.
    Poi, l’appuntamento salta, ma ne viene fuori un altro, imprevisto, con il responsabile marketing di un grosso gruppo di produzione di abbigliamento. Gente i cui uffici e stabilimenti sono grandi tanto quanto la cittadina dove hanno sede. Gente con bilanci a parecchi zeri.
    Entro in sala riunioni, e mi presentano un simpatico signore sui quaranta-quarantacinque anni, che veste:
    a) Giubbotto di montone bianco con collo in pelo (bianco)
    b) Camicia di flanella blu elettrico, con righe che mi paiono di un violetto altrettanto elettrico a disegnare dei grandi riquadri
    c) Pantaloni di fustagno blu elettrico, ma di tonalità diversa rispetto alla camicia
    d) Scarpe in nabuk nero (il nabuk è quella cosa che una volta si chiamava “scamosciato”, giusto? Comunque, quello)

    L’incontro va più che bene, la persona è simpatica, intelligente, preparata, disponibile. Eppure, devo lottare per un’ora con me stesso per reprimere la tentazione di dirgli “beh, santiddio, abbiamo proprio fatto le cose in fretta questa mattina”.
    Ora, piccolo sondaggio tra voi lettori; il mio atteggiamento è intriso di:
    1) Orgoglio (per essere vestito, seppur casualmente, meglio di lui, almeno secondo i canoni dei rapporti professionali all’inizio del ventunesimo secolo)
    2) Pregiudizio (vabbeh, citazione letteraria; comunque, intendo pregiudizio nei confronti di chi si presenta ad un appuntamento di lavoro vestito come un boscaiolo del Wyoming)
    3) Buon gusto (il Lord Brummel della periferia nord-ovest di Milano)
    4) Mera coglioneria (preferirei evitare spiegazioni)

    A voi l’ardua sentenza.