Ieri sera, guardando gli ultimi minuti della puntata di “Sfide” dedicata al mondiale di calcio 2006, e ricordando il ruggito che esplose dalla mia gola come da quella di – più o meno – altri cinquanta milioni di miei concittadini nel momento in cui Fabio Grosso segnò il quinto rigore, e gli abbracci, l’incredulità, i minuti di quella sensazione che mi spingerei a definire di gioia pura, ho pensato che la stessa cosa era successa poche ore prima a Baghdad e nel resto dell’Iraq: lo sappiamo tutti che un gol non cambia la vita, ma per dieci minuti, o mezza giornata, può anche regalare un sorriso – che forse per noi non è una cosa fondamentale, ma in riva all’Eufrate può avere la sua importanza.
La Stampa