Greetings from London ’09 – Infradito
Tornerei a Londra solo per farmi la mezz’ora di metropolitana che separa Heathrow da Earl’s Court, dove mi fermo per la fiera: per guardare le cento razze che si accalcano dentri i vagoni della Piccadilly Line – quelli che basta una valigia a bloccare lo scorrimento di tutti i passeggeri, quelli dove all’inizio siamo solo noi che arriviamo dall’estero e ci riconosci dai bagagli, dagli abbigliamenti, dai passaporti che spuntano dai taschini delle giacche; quelli dove, avvicinandosi alla città – Hounslow, Boston Manor, Acton Town – vedi salire gli antichi figli di Elisabetta, rossi quadrati e slavati, dove trovi ogni esemplare umano del fu British Empire, dove puoi fantasticare sui mille incroci di razze osservando i lineamenti e ascoltando gli accenti; quelli dove, quando sei ad Hammersmith ormai tutto il mondo (esclusi forse gli Inuit) sta lì, in quel tubo stretto ormai impraticabile – tutto il mondo, compresi questi due sciroccati con lo zaino in spalla, vestiti fino alla cintola come se dovessero scalare il K2, e dalla cintola in giù in bermuda e infradito, sprezzanti della pioggia e di qualsiasi norma igienica del mondo occidentale.