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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    19/10/2010

    Listen deeply, tell stories

    Filed under: — JE6 @ 14:34

    A stare in rete si legge tanto. Si legge anche per interposta persona, per così dire: si leggono le cose che leggono gli altri – libri, articoli, riviste, blog. Ci si fa un’idea del mondo (anche) attraverso le sue letture, leggendone le note a margine (da questo punto di vista, Tumblr è una vera miniera: perché non sono le trecento pagine più titolo e copertina di un libro a dire chi sei, questo lo fanno le quarantasei parole che ne estrai, che ti sono rimaste in testa, che decidi di condividere col mondo).
    Ora, io non so bene come esprimerla questa cosa che mi gira in testa, perché anche se scrivo da una vita scrittore non sono di sicuro: ma ci provo lo stesso. Mettiamola così, vedo in giro una spaventevole attrazione per lo stereotipo di bassa lega. Il quarantenne tormentato, il rivoluzionario in cachemire, il giovane che vuole partire, l’amore sofferto, la frase fatta che suona tanto bene alla “let’s make better mistakes tomorrow”, una specie di mix tra Paulo Coelho, il fratello minore di Rudyard Kipling, Federico Moccia e la brutta copia di Bukowski – quella che alla seconda Menabrea pensa che sia meglio andare a letto, ché altrimenti chi si alza domani per essere in ufficio alle nove.
    Naturalmente, se il problema fosse ciò che la gggente legge, beh: non sarebbe un problema. Ognuno si fa del male come meglio crede, diciamo, e nessuno costringe nessuno a leggere tomi, articolesse o citazioni più o meno profonde e felici. No, il punto è un altro. E’ che quel che si legge poi lo si scrive, è dalla lettura che viene la scrittura; e non so, a costo di passare per la millemillesima volta per l’anziano insofferente legato a vecchi schemi e ricordi polverosi, ma a me pare che la rete, luogo di parole più della biblioteca di Alessandria, ci stia arricchendo e migliorando molto poco (uso apposta la prima singolare, perché non ho nessuna intenzione di puntare il dito contro altri standomene comodamente seduto sul mio amato divano mentre guardo ESPN America): anzi. Ho la sensazione che, almeno nel microcosmo che frequento e/o che mi viene fatto frequentare, quello nel quale “C’è così tanta gente che scrive, ormai, che non sono mica sicuro che ce ne sia altrettanta che legge“, aleggi una specie di rachitismo virale, qualcosa che, quando ci mettiamo alla tastiera davanti allo schermo vuoto ci impedisce di mettere in piedi una Storia che stia in piedi, e che lo faccia da sola. Ho la sensazione che manchi il respiro e la forza di un romanzo, di un racconto lungo, anche di uno breve ma di quelli come dio comanda. Ho la sensazione che proprio non ce la facciamo, noi scribi della rete, e mi chiedo se tanta fascinazione per la scrittura collettiva non venga proprio da questa consapevolezza, oltre che dal gusto di fare cose belle insieme ad amici e conoscenti. So benissimo che la Morte del Romanzo è stata decretata già da parecchio tempo, e non ho intenzione di lottare contro i mulini a vento: sono troppo pigro per farlo, e non ho né un Ronzinante né un Sancho Panza a disposizione. Mi chiedo solo, da vecchio lettore con la passione per la scrittura, se il quarto d’ora di celebrità al quale tutti o quasi ambiamo non sia esattamente ciò che ci meritiamo: un quarto d’ora, ché già mezza sarebbe un premio esagerato.