Il Canal Grande, quello vero
Sono fermo al semaforo, tenendo il mare alle spalle. Aspetto che il verde ci permetta di attraversare la strada; là sulla destra il Caffè Tommaseo, quello che stai seduto in mezzo alle arie d’opera, a sinistra uno dei cento palazzi delle Generali. E’ in quel momento che mi sembra di capire Trieste, è in quel preciso momento in cui l’inquadratura mette insieme il Canal Grande e la chiesa greca e la chiesa cattolica e la chiesa serba e la sinagoga e le barche e gli spritz e le colline, e mentre guardo ascolto due donne che come me aspettano di attraversare la strada, parlano in una lingua slava addolcita buttando dentro ogni quattro o cinque frasi una manciata di parole in triestino, triestino vero anche nell’accento, è in quel momento lì, che ha dentro qualche millennio di storia e un numero imprecisato di guerre e morti e liberazioni e bottiglie di vino e libri e nobili e psichiatri e fortune dissipate e popi e babe, è in quel momento che il Canal Grande diventa quello vero, quello che taglia il Borgo Teresiano, quello che stai lì, appoggiato alla ringhiera sul ponte, e non vorresti muoverti più.
[Che poi tout se tient, e quando riparto penso che solo a Trieste puoi dormire in un posto come la casa della Titti e della Gio, che è Trieste ma è New York e Tokio e Madras, tutto insieme, con due storie che ci vogliono troppi spritz per raccontarle – il che è un buon motivo per tornare]
June 6th, 2014 at 18:48
Il vento attraversava I suoi lunghi capelli, mentre lontano qualcuno respirava del suo profumo!
Le increspature del mare, sembravano donare dell.argento al dolce tramontare.
Così, allontanandosi sentiva distaccare da sè il proprio cuore, era doloroso, era un rigetto in piena regola, impietoso del dolore, tracimava e squarciava e fuggiva attraversando confini. Si disse tra sè cosa potesse fare un corpo senza cuore!