Giorno di festa
In mezzo al campo sono almeno ventidue, forse qualcuno di più. Hanno le magliette tutte uguali, come le squadre vere, i portieri calzano i guanti, ed a volte i pantaloncini con le imbottiture. Tutt’intorno, sono centinaia, famiglie, gruppi di amici, alcuni portano gli ombrelloni da mare e quasi tutti bottiglie e cibi. Giocatori e spettatori sembrano non soffrire il caldo, sotto la corazza della loro pelle olivastra e dei loro capelli di fil di ferro. I bambini corrono, la partita sembra, e forse è, solo un pretesto per trovarsi, figli di un altro continente nel suo giorno di libertà .
A poca distanza, sull’asfalto del capolinea degli autobus si radunano decine di furgoni che hanno centinaia di migliaia di chilometri sulle gomme, e centinaia di uomini e donne che portano e ritirano pacchi. Gli indirizzi, scritti con pennarelli a punta larga sul cartone degli imballaggi, parlano, attraverso le strane forme di un altro alfabeto, di paesi lontani e freddi, di campi di grano, scorie radioattive, soldati e giocatori di calcio. Sulle panchine del vialetto che porta alla fermata della metropolitana, gruppi di donne siedono, ridono, si confidano, si scambiano indirizzi, tirano fuori dalle borse i sofferti soldi che servono a mantenere figli lasciati troppi anni fa, e che passeranno di mano in mano e di confine in confine fino ad arrivare, forse, a bambini diventati ormai grandi.
Sul viale passano due anziane signore. Una si copre con un ombrellino da sole.
22/06/2003
Surrogato
Non sono andato al Telefilm Festival. In compenso, il mi’ babbo (sant’uomo) mi ha dato qualcosa come sedici ore dell’ultima stagione di ER. Registrando, si è persino preso cura di tagliare gli stacchi pubblicitari.
Ventilatore e bottiglia di spuma. Si parte.
Oh, si è appena ripresentata la dottoressa Susan Lewis. E chi si muove, da qui?