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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    12/11/2004

    Dolori familiari

    Filed under: — JE6 @ 14:49

    Mio padre, benchè sardo di nascita, è interista.
    Bon, ognuno ha i suoi difetti, non stiamo qui a sindacare.
    E comunque: lui era allo stadio, quella sera del 1963, quando l’Inter battè il Liverpool 3-0, semifinale di Coppa dei Campioni. Herrera, Corso, Jair, Mazzola, gente così. Uno stadio che diventa un corpo, la gioia allo stato puro, la consapevolezza che sei testimone di un evento speciale.
    Ma quello è il passato. Remoto.
    Una sera di qualche anno fa (beh, “qualche”: diciassette), rientro a casa dopo essere stato al cinema a guardare qualcosa di dimenticabile (infatti).
    Apro la porta della sala, chiusa per non dare fastidio a mia mamma, già a letto immersa nel “Corriere della Sera”.
    Mio padre non è un giovialone, ma è una persona serena e poco incline alla tristezza. Lo guardo, ed ho come l’impressione che gli abbiano asportato la colonna vertebrale. Sfatto, le braccia appoggiate sulla poltrona, lo sguardo smarrito.
    “Pa’, cos’è successo?”
    Hanno perso” (e in quella terza persona plurale c’era tutta la disillusione del distacco definitivo dai propri sogni)
    “Beh, capita”
    In casa. Con il Turun Palloseura. Unoazero
    “Con chi?”
    Finlandesi
    “…”
    “…”
    “Bevi qualcosa, pa’?”
    Grazie
    Io voglio bene, al mi’ babbo. Di Severgnini non me ne frega nulla, ma cazzo, banda di pippe in nerazzurro, fatelo per lui, per quelli come lui.
    Dedicato al mi’ babbo, e al fratellino Lester

    Il te stesso che non vuoi

    Filed under: — JE6 @ 10:17

    “Sii te stesso,” dici “e tutto andrà bene”.
    E io faccio sì con la testa, hai ragione, devo essere me stesso, certo. Tutti dovrebbero essere se stessi, veri, trasparenti.
    Ma non te lo dico, anche se forse tu lo sai o almeno lo immagini, che quel me stesso è brutto, debole, impresentabile.
    E allora, cosa faccio, cosa facciamo? Mi impegno a costruire un altro me stesso? Non è forse un trucco? E poi, se io sono così “dentro”, non credo di avere molte possibilità di migliorare. O magari no, e sono solo convinto di non averne la capacità e le forze.
    Così, a pensarci bene, sono davvero me stesso anche quando provo ad essere altro. Come tutti. A qualcuno riesce meglio, sembra. Io mi devo applicare di più.

    – André voleva dire – disse Mary – che con lei puoi essre te stesso.
    – Te stesso? E chi è?
    – Qualcosa inventerai, – lo rassicurò André.