Il brutto che avanza
Mi è capitato, mesi fa, di incontrare un architetto, incidentalmente lettore di questo blog; ricordo la serata con particolare piacere non solo per la spettacolare quantità di Lagavullin ingerita durante un lasso di tempo discretamente breve, o per il fatto di aver letto con i miei occhi l’espressione “persona corta” far bella mostra di sè in un progetto presentato all’austero dipartimento per l’edilizia di una nota località svizzera, ma anche per la sinusoidale chiacchierata sulla fonte dei guadagni del mio ospite – l’architettura, per l’appunto – che alternò aneddoti su ricchi e insopportabili committenti ticinesi al racconto della visione ravvicinata dei Buddha di Bamyan a sapide considerazioni sul silenzioso conflitto tra geometri e architetti.
Mi è capitato spesso di ripensare a quella conversazione, nella quale mi ero infilato con la massima soddisfazione nel ruolo di ignorante studentello, macinando chilometri in giro per l’Italia e per l’Europa; mi è capitato attraversando la periferia di Catanzaro, percorrendo la Pontina, arrancando lungo la Romea, circumnavigando il nuovo polo fieristico milanese. Ogni volta mi sono chiesto come è stato possibile che un paese che esportava architetti in giro per il mondo sia precipitato nel baratro della bruttura confusa e disorganizzata che è ormai il tratto distintivo del suo territorio, senza nessuna differenza tra città e provincia. E’ la stessa domanda che posi al mio ospite, il quale, in sintesi, mi rispose: “Soldi e ignoranza”. E in effetti tutto torna; la superba, paracula e vuota celebrazione dei monumenti millenari, la stordita venerazione per i perizomi leopardati di Dolce e Gabbana (nonchè per gli stessi Dolce e Gabbana), l’ingordigia di appaltanti e appaltatori, le gare al ribasso, il disinteresse per tutto ciò che non è “cosa nostra”: non possiamo nemmeno augurarci un cataclisma naturale che ci costringa a ricostruire tutto da zero, perchè non saremmo capaci di rinascere più belli di prima come successe a San Francisco dopo il terremoto o a Chicago dopo l’incendio: riedificheremmo Roma come i burocrati comunisti hanno fatto a Varsavia dopo la guerra – finta, grigia e brutta.
November 1st, 2007 at 16:49
…aggiungerei pure la stordita venerazione per alcune archistar, ma è un discorso troppo lungo per questo spazio.
molto da pensare squonk. grazie.
November 1st, 2007 at 20:12
Tuttavia, continuiamo a esportare architetti: i giovani che emigrano. Se va in Spagna, o in Olanda, troverà studi pieni di giovani stufi di fare tirocini gratuiti in cui l’unica cosa che firmano sono le ricevute dei pony express. Forse qualcosa vuol dire.
November 2nd, 2007 at 10:37
fammi capire meglio quale era il contesto in cui hai visto usare la parola “persona corta” (progetto ? edilizia? svizzera?)
November 2nd, 2007 at 10:58
Cristina: quello, dato il contesto, mi pare davvero il minore dei mali.
R.O.: certo, vuol dire molte cose e nessuna di queste è buona.
EmmeBi: un progetto edilizio svizzero, esatto; è stato un momento magnifico.
November 2nd, 2007 at 16:21
Guardi Sir che se si fa un giro nell’oriente che sta crescendo prima di vedere cose notevoli vede solo brutture disdicevoli…Per certi versi solo Tokyo si salva e un po’ Honk Kong. Il resto le viene male al cuore…Metto la firma al commento di R.O.
I grandi archistar lavorano all’estero. Appena fanno qualcosa in patria succede un casino (vedi Piano e Torino) e non ho molto capito il perche’…
November 2nd, 2007 at 19:35
Il punto è che i talenti, in Italia, ce li abbiamo eccome. Solo che ce ne rendiamo conto quando ormai sono già emigrati in altri Paesi. Paesi che evidentemente hanno saputo coglierne la potenzialità meglio di noi. Che li hanno appoggiati meglio di noi.
Nemo profeta in patria: mai detto è stato più vero!
November 3rd, 2007 at 16:26
torino: il suo skyline.
Ringrazio Antonio: "A prescindere dalle mie opinioni circa l’intoccabilità delle città moderne, o delle sue intoccabilissime skyline (che io invece vorrei fossero invece più maltrattate, con coraggio e creatività ovvia
November 4th, 2007 at 11:03
Mi pare che qui si stia ponendo prevalentemente il problema dei grossi nomi, delle grandi strutture, degli architetti a giusta o ingiusta ragione considerati star. Ma qui dalle mie parti (Campania) il problema è stato, ed in una certa misura è ancora, quello dei piccoli architetti, dei non-architetti, degli ingegneri incolti, dei geometri improvvisati che hanno deturpato irrimediabilmente posti che solo cinquan’anni fa dovevano essere tutt’altra cosa. Non posso quindi appassionarmi al problema delle skyline o alle contestazioni a Renzo Piano. Qui ovunque ti giri vedi orrori, case addossate mancanti di intonaco, scheletri di palazzi non ultimati, assenza totale di verde e di spazio, e mediamente le stesse case hanno al proprio interno ogni forma di comfort, cinque televisori lcd, tre decoder, mobili costosissimi e via di questo passo. “Soldi e ignoranza”, si diceva, e io aggiungerei dispregio di ciò che anche in misura minima è indirizzato alla collettività, come può essere anche la semplice visione di un palazzo che all’esterno si trovi in buono stato. Il cataclisma possibile qui ce l’avremmo anche a portata di mano, il Vesuvio invocato nei momenti di disperazione, ma come si diceva nel post, vale la pena auspicarlo?