Stati Uniti, anni Cinquanta
Penso che almeno d’estate dovrei cambiare letture (e forse non dovrei andare al mare, per dedicare meno tempo all’erudizione), darmi a Novella 2000 e alla Gazzetta. Invece finisco per cacciarmi a spulciare tra Einaudi nuovi venduti al 50%, e insomma mi ritrovo tra le mani libri che non solo mi parlano ma, peggio ancora, mi danno la sensazione di parlare di me – il che francamente non sta nella top ten dei miei desiderata attuali. Sta di fatto che sono qui a pagina 31 a chiedermi se sia il caso di proseguire, che ‘sto libro mi pare giri intorno alla faccenda di una parola che alberga nella testa del protagonista, e lui non solo non la vuole dire a voce alta – come Arthur Fonzarelli quando deve ammettere di aver sbagliato – ma ha persino paura di pensarla, gli viene la prima sillaba e poi distoglie la mente, la sposta su qualsiasi altra cosa; e per soprammercato ha anche il terrore che quella parola gliela possa dire un’altra persona, una alla quale tiene moltissimo, perchè se gliela dicesse darebbe un gran dolore a entrambi e nessuno dei due vuole che questo avvenga.
Ora che ci ripenso, nelle prime 31 pagine non c’è nulla di tutto questo, e la mia è appunto solo una sensazione, la sensazione che questo dannato libro avrà dentro queste cose – mia suocera ha appoggiato sul tavolo un numero di “Confidenze” o qualcosa del genere e tutto sommato non dovrebbe essere una brutta alternativa.