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    02/07/2008

    Professionisti

    Filed under: — JE6 @ 09:07

    Qualche giorno fa, per ironizzare sull’elezione di Vittorio Sgarbi a sindaco di un paese della provincia di Trapani, scrivevo che “Forse quello del politico o dell’amministratore pubblico va davvero considerato come un mestiere – una cosa che impari a fare e magari fai per tutta la vita”.
    Oggi Luca – nel raccontare di non poter partecipare alla riunione della Direzione Nazionale del PD della quale fa parte da pochi giorni, e criticando il metodo di convocazione (un avviso ricevuto sei giorni prima della riunione stessa) – chiude in questo modo: “così si consente di occuparsi di politica solo a chi non ha altro da fare che partecipare alle riunioni della direzione nazionale. Che può anche andar bene, basta mettersi d’accordo e non lamentarsi più dei professionisti della politica”.
    Non ho potuto fare a meno di ricordare il commento lasciatomi da Elena, assessore da 7 anni in un comune dell’Emilia Romagna, di cui riporto la prima frase: “no, non è un mestiere. è una passione, è una responsabilità. quando fai il sindaco normalmente vai in aspettativa dal tuo lavoro, quando fai l’assessore puoi anche fare un altro lavoro ma devi essere in grado di dedicare il giusto tempo al “fare l’assessore”. non esistono sabati e domeniche, nè sere, per chi fa il pubblico amministratore”. Ho pensato che Elena, in poche parole, ha spiegato tutto e che Elena, pur non considerandosi tale perchè continua ad avere quello che noi poveri di spirito definiremmo “un lavoro vero” è a tutti gli effetti una professionista della politica: il che, per il sottoscritto, è tutt’altro che un demerito – e se io fossi un cittadino del comune nel quale lei fa l’assessore sarei ben contento di essere amministrato da una persona così.
    A Luca dico che una convocazione a sei giorni non è uno scandalo, nella vita delle aziende – dove le persone sono a volte più occupate e spesso meno flessibili nella gestione dei tempi rispetto ai liberi professionisti – è una pratica piuttosto comune, e quando la si riceve si prova a fare in modo di adattarsi alle superiori esigenze: se l’obiezione è “d’accordo, ma quello di membro della Direzione Nazionale del PD non è il mio lavoro”, ritorniamo alle parole di Elena, e per quanto mi riguarda a dirci che forse di professionisti della politica ce ne vorrebbero di più, e non di meno.
    Squonk, Wittgenstein, Senza aggettivi

    8 Responses to “Professionisti”

    1. Luca Says:

      Decidi come vuoi, ma non cadere in cliché anticonformisti: in molti ci diciamo da tempo che esistono capacità e competenze utili alla politica e alla gestione delle cose pubbliche, che sarebbe il caso di sfruttare, e che hanno voglia di essere sfruttate. Su molti temi, inevitabilmente, persone che non fanno politica di professione hanno antenne, esperienze, e voglie di metterele a disposizione per il loro paese e gli altri, e si può decidere di creare gli spazi perché questo avvenga, oppure di continuare a dir loro “spostai ragazzino, lascia fare ai professionisti”, salvo che i professionisti poi devono improvvisarsi tuttologi, con i risultati che vediamo.
      Non venirti ovvero a lamentare, per esempio, quando i politici di professione partoriranno la prossima bozza di legislazione su internet senza avere idea di quello di cui si occupano. Per esempio.
      L.

    2. Squonk Says:

      Credo che il problema, Luca, stia nel significato che diamo al termine “professionisti”. Io, in uno slancio di ingenuo ottimismo, vorrei dargli un significato positivo, legato a capacità, competenze, esperienze, antenne e quant’altro. Naturalmente concordo con te sul fatto che più spazi ed occasioni ci sono perchè a queste capacità e competenze eccetera venga data possibilità di esprimersi, meglio è: mi sono permesso di notare che una convocazione a sei giorni non mi pare una manifestazione di ostilità nei confronti del nuovo che vorrebbe avanzare e rendersi utile, e incidentalmente che forse c’è da affrontare una questione legata al tempo dedicato alla politica che il nuovo che vorrebbe avanzare è disposto a dedicare alla politica stessa. Non a caso ho citato le parole di Elena, che mi sembrano un ottimo compendio di cos’è un sano professionismo della politica.

    3. Luca Says:

      Allora. Elena fa l’assessore, che è una cosa diversa. È un lavoro come un altro, hai uno stipendio, un ufficio, quelle cose lì. Non fai “politica” nel senso di cui stiamo parlando: fai l’amministratore pubblico. Tant’è vero che spesso gli assessori sono gente scelta proprio per le loro competenze acquisite in ambiti estranei alla politica.
      Seconda cosa. Come ho scritto, io sono fortunato abbastanza da poter – muovendo qualche mare e monte – gestire il mio tempo con una certa libertà. Non credo sia lo stesso per la maggioranza delle persone. E anzi ti chiedo: tu potresti essere a Roma lunedì prossimo alle 10 di mattina? Per esempio.
      Ciao, L.

    4. Squonk Says:

      Con il lavoro che faccio? No, non potrei. Potrei se si trattasse di un impegno di lavoro – che è ciò che volevo dire prima e che evidentemente non sono riuscito a spiegare: tempo dedicato. Anticipo l’obiezione: si tratta di tempo pagato, naturalmente, ma l’aspetto che mi interessa riguarda proprio la quantità di tempo che una persona può (e vuole, se ha la facoltà di scegliere) dedicare ad una certa attività. Il fatto che Elena, presa come esempio in modo piuttosto casuale, faccia l’assessore e non la think-tanker mi pare francamente irrilevante: premesso che Elena, come spiegava in un altro commento, ha quel che chiamiamo “un lavoro vero” oltre a quello di assessore, ciò che mi interessava era quel suo sottolineare il doversi/volersi dedicare completamente al ruolo di assessore in tutto quel poco o tanto tempo che il “lavoro vero” le lascia. E non lo so, magari le organizzano una giunta straordinaria o qualcosa del genere con due soli giorni di preavviso, e in qualche modo deve fare.

    5. b.georg Says:

      be’, se Sergio non può verrei volentieri io! Tra l’altro ho fatto parecchia politica in passato, anche se mai in un partito e mi muovo benissimo nell’ombra. Mi candido, cooptatemi! (faccina)

      Poi, mi pare che l’utilizzo di competenze esterne da parte della politica in realtà sia la norma, non l’eccezione: è norma ad esempio che il governo utilizzi legioni di consulenti e professionisti nei campi più svariati, in commissioni anche istituzionali, per istruire il lavori sui temi in cui solo uno interno a un certo problema può fornire le specifiche tecniche. In genere accade che la politica dia la cornice e l’indirizzo, la direzione, e i tecnici la riempiano e la rendano consistente in base ai dati di realtà. Certo, se l’indirizzo politico è sbagliato in partenza, o inadeguato alla scopo per disinformazione di base, o esageratamente ideologico, è facile che il risultato faccia schifo perché il tecnico non può cambiare la cornice, ma la politica non può certo abdicare a questo ruolo, che in fondo è la sua parte nobile e ciò su cui poi verrà giudicata.
      Lo schema funziona anche per i partiti, almeno quelli meglio organizzati, che dispongono di tutta una serie di strutture deputate a questo scopo (o almeno ne disponevano e oggi vanno riorganizzandole – ditemi voi che altro è la fondazione di D’Alema con tutti i congressi e incontri tematici aperti e chiusi che organizza da anni se non questo, considerato che la scuola quadri del PCI non esiste più).

      Tutt’altra questione, come si capisce, è quella della permeabilità degli istituti della democrazia delegata alle istanze e ai protagonisti della società civile, tema almeno in parte girotondino, secondo cui il cancro della politica italiana è il professionismo e la casta che ne deriva. Un’idea che nei fatti e curiosamente ha sfondato più a destra che a sinistra, producendo una marea di amministratori e politici improvvisati, o di dentisti prestati all’ideologia, che ha fatto rimpiangere i bei tempi di forlani and co.

      Nei fatti la politica-politica (non l’amministrazione o la consulenza, cioè) è aperta a tutti coloro che la vogliano svolgere anche solo come “seconda attività”, sempre che ci si “accontenti” di farla nella sezione del proprio quartiere, nelle realtà in cui si vive e lavora, nelle strutture di base, o anche nelle strutture tipicamente funzionanti nei partiti o collateralmente ad essi e deputate alla riflessione e alla ricerca. In genere almeno si fa così. Pensare di far politica ad un livello dirigenziale, cioè decisionale alto o altissimo, nel tempo libero è, imho e mi scusino i presenti, una cosa non serissima e piuttosto demagogica, o valida al massimo per qualche superintellettuale buono a fare da specchio alle allodole nei congressi di partito e le tre volte che si ricorda di occupare il suo seggio in parlamento (una volta si chiamavano indipendenti nelle file del pci, dizione di una malafede infinita per fortuna sommersa dalla storia).

      scusate le eventuali cazzate ma scrivo di fretta, non sono un professionista

    6. elena Says:

      Urca, mi mette un po’ di ansia da prestazione questo dibattito.. ma dato che sono stata chiamata in causa un po’ di volte un commentino lo faccio anche io.
      Sì, sei giorni sono un tempo ragionevole, anche perchè il dibattito nazionale langue già abbastanza da solo, senza bisogno di diluire i tempi degli organismi dirigenti dei partiti.
      Se la direzione nazionale del PD vuole contare qualcosa è bene che sia “sul pezzo”. Io, onestamente, sento profondamente la mancanza di un partito che dica qualcosa di univoco, e non mille voci dissonanti.
      Per quel che riguarda il professionismo o meno, è vero che ho un ufficio, addirittura una segretaria, è vero che ho un’indennità di carica (610 euro, per essere precisi), ma è altrettanto vero che se Luca avesse letto i commenti a cui faceva riferimento Squonk, saprebbe che lavoro e che il mio intervento verteva proprio sul fatto che fare l’assessore per me non è un lavoro.
      Ah.. se c’è una giunta straordinaria o una riunione improvvisa si disdicono gli appuntamenti che si possono disdire e si prendono dei permessi (fino a 6 ore settimanali sono rimborsati al datore di lavoro, oltre invece sono permessi non retribuiti). Ma il mio lavoro mi permette molta flessibilità, sono fortunata. Altri lo sono meno.
      Di amministratori locali come me ce ne sono davvero tantissimi, in comuni più piccoli del mio, in quartieri magari, che si trovano i cittadini sotto casa la sera per un cassonetto o per una asfaltatura, e non hanno nemmeno l’ufficio 🙂
      E che in sei giorni si organizzano come possono.

    7. Mackley Says:

      Confermo che l’assessore in oggetto è molto competente, e per me è uno dei punti positivi di essere cittadino di quella città da lei amministrata !

    8. bloggo Says:

      sei giorni di preavviso sono grasso che cola, al giorno d’oggi (sempre che uno ci tenga e non se la tiri troppo).

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