Greetings from Zagreb 2012 – 18.11.1991
Entro a Zagabria facendo la solita strada, quella che oggi era immersa nella nebbia delle colline slovene, un’autostrada che entra in città prendendo il nome di Zagrebacka Avenija e tira dritta per una decina di chilometri tenendosi il centro sulla sinistra e la Sava sulla destra. Il rosso di un semaforo mi dà tempo per guardare un grande striscione che attraversa questo enorme e lunghissimo viale. Non so il croato, non so cosa vi sia scritto: ma leggo “Vukovar, 18.11.1991”. I casi della vita, li chiamano: proprio ieri sera ho finito di leggere “Maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, che alla distruzione di Vukovar, alla sua caduta avvenuta – ecco cosa ricorda lo striscione: sarà una mostra? o una manifestazione commemorativa? chissà – il diciotto novembre di ventuno anni fa, ai dodicimila tra bombe e razzi giornalieri che finirono per rendere questa la prima città europea completamente rasa al suolo dopo la fine della seconda guerra mondiale, ai più di trentamila civili croati deportati dai serbi dedica decine di pagine. Non è la prima volta che vengo da queste parti e mi trovo a guardare questo o quel palazzo chiedendomi se quelli che a volte credo di vedere sono gli sbiaditi segni di una guerra atroce che è finita giusto l’altroieri, se le persone con cui parlo hanno avuto dei morti in famiglia o tra gli amici – e quanti, e dove, e come. E perché. Quando torna il verde innesto la marcia, e riparto, e penso che una volta o l’altra dovrei prendermi un giorno di ferie, uscire la mattina presto, staccare il telefono e mettermi in strada, e cercare con i miei occhi quel poco che è rimasto da vedere. Una volta o l’altra, chissà.