Chi dice che Parigi è la città più bella del mondo dovrebbe farsi un giro nella banlieue, tanto per rendersi conto che i cinque o dieci chilometri quadrati che gravitano intorno agli Champs Elysees non sono tutta la città, e che basta spostarsi un po’ verso la Periferique (la grande tangenziale costantemente infestata da ingorghi danteschi simpaticamente definiti bouchons) per entrare in zone di bruttezza sconcertante – specie se confrontate con lo sfarzo e le luminarie e la grazia del centro storico. Parlo per esperienza personale, avendo avuto modo di frequentare alcuni di questi ameni sobborghi per motivi di lavoro o di carenza di budget a sostegno delle vacanze.
Sono luoghi nei quali si toccano con mano concetti da saggistica erudita: classi sociali, integrazione razziale, welfare, istruzione diffusa, cose così. Sono luoghi nei quali si vede che Parigi – come la grandissima parte delle città del mondo occidentale – non è che un’accozzaglia spesso malriuscita di borghi più piccoli, che tra loro hanno poco o nulla in comune, che tra loro spesso non parlano e, quando ci riescono, altrettanto spesso lo fanno insultandosi e accompagnando le parole con un bel colpo di spranga.
Poi, certo, l’Arco di Trionfo è sempre un bel vedere. Se si danno le spalle alla banlieue e si fissa lo sguardo verso Place de la Concorde.
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