Magari capita solo a me, non lo so. Sta di fatto che quando vengo da queste parti – all’Est, per intenderci: nell’ultimo anno Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e adesso Slovacchia – mi rendo conto di rimanere deluso nel vedere i segni del mio quotidiano: Ikea, Lidl, Valentino, Shell, Unicredit. Mi guardo intorno sperando – e neanche tanto inconsciamente – di trovare qualche conferma agli stereotipi, ed è come se mi rallegrassi nel vedere una vecchia Skoda 110 (quella con il cofano che si apriva di lato), o tre muri sbrecciati. Ma Vienna è a meno di un’ora di strada, il centro di Bratislava – fatta eccezione per la lingua – è in tutto e per tutto identico a quello di Salisburgo o di Norimberga, le non molte macchine che alle otto di sera si spostano da un semaforo all’altro sono le stesse che si ingorgano in Via Soperga angolo Viale Brianza, le ragazze sono vestite come le vedi a Monte Mario o in Piazza del Plebiscito, e certo non vengono a cercarti le calze di nylon. Sarà la globalizzazione, chissà.