Questo blog non tifa Basso – ed ecco perchè
Marco Pastonesi, su QuasiRete. Se volete commentare, fatelo pure lì, giusto segno di riconoscimento nei confronti di Pastonesi e di Carlo Annese. Ma mi fa piacere riportare il pezzo per intero.
Potevano anche scegliere una sala più grande, nell’Hotel Michelangelo, Stazione Centrale, Milano. Michelangelo. Allo stesso Michelangelo sarebbe mancato il fiato, lì dentro, stretto, compresso, sudato, fra giornalisti e fotografi e operatori, mitragliate di flash e fuochi di riprese, sparatorie di inviti e insulti, fino al momento in cui Ivan Basso ha cominciato a parlare.
Blue jeans, camicia bianca e blu a strisce fuori dai jeans, capelli corti, guance rasate, occhi grandi, ciglia lunghe, viso pallido, lui alto, diritto, apparentemente tranquillo, comunque fermo. Ha raccontato, detto, spiegato, ripetuto, confermato che quelle sacche di sangue appartenevano a lui, ma che non le ha mai usate. “Mai fatto uso di doping né di autoemotrasfusione”. “Ho sempre gareggiato e vinto solo con le mie forze”. “Si è trattato di un momento di debolezza”. “Accetto la sanzione che mi sarà data, qualunque sia, sarà quella giusta”. “Vorrei tornare a fare la professione che amo”. “Adesso non faccio programmi”. “Andrò a prendere mia figlia all’asilo”. “Non sono stato messo sotto torchio, non sono crollato dopo quattro ore di interrogatorio. Sono stato io a parlare”. “Questa è la verità”. “I miei tifosi mi perdoneranno”. “Ho voluto mettere la parola ’fine’”. “Spero che d’ora in poi, quando si parlerà di me, non si rivangherà questa storia”. Mezz’ora. Per scordare il passato.
Ma dopo un anno di Birillo e Tarello, di telefonate mai fatte, di sms mai inviati, di conoscenze mai conosciute, di coscienze pulite, di non-ho-niente-da-nascondere, di sono-pronto-a-dare-il-mio-dna, di non-so-perché-qualcuno-mi-vuole-tirare-in-mezzo, di viaggi smentiti, di prelievi negati, dopo un anno di bugie, chi ci potrà mai dire che queste non siano altre bugie, semibugie, bugiette, bugie parziali o temporanee? Perché ti dovremmo credere, adesso, Ivan Basso? Per il tuo passato pulito, per la tua faccia pulita, per il tuo amore verso il ciclismo, per la tua crescita costante, gara dopo gara, sconfitta dopo sconfitta fino alla prime timide vittorie, anno dopo anno, i Tour de France e i Giri d’Italia?
E noi, che abbiamo creduto, ci siamo fidati, abbiamo visto e scritto, scritto quello che avevamo visto, ma poi c’era tutto un mondo che non sapevamo e che non vedevamo ma abbiamo continuato a scrivere, ingannando? Noi che ti abbiamo guardato negli occhi, che ti abbiamo stretto la mano, che ci siamo lasciati scappare un bravo sincero, una smorfia complice, una nostra debolezza, possiamo crederti adesso sulla parola, sulla fiducia, sulla speranza, oppure su un compromesso, su una via di uscita?
Pensavo a questo mentre Basso usciva e voltava le spalle all’Hotel Michelangelo e a quella sala dove si moriva soffocati di respiri e dubbi. Pensavo a questo mentre slegavo la mia bici dal palo, e ci salivo su, e pedalavo nel caldo, e sudavo nel traffico, e pensavo che questo è un mondo dopato, i titoli dei giornali sono dopati, i Suv sono macchine dopate, perfino i sogni sono dopati, le esigenze sono false e dopate, e chi dopa e si dopa nella finanza ha sempre un posto in tribuna d’onore.
Quasirete