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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    28/11/2008

    Tappe forzate – 7

    Filed under: — JE6 @ 12:28

    Questa è una novella a puntate scritta a quattro mani.
    Le puntate precedenti le trovate qui.

    7. Come un film in bianco e nero visto alla tv

    [Lui]
    Mi piace il mare in questa stagione. Mi piace che non ci sia quasi nessuno in giro, vedere sulla spiaggia pezzi di legno marcio e impronte di gabbiani, mi piace guardare i negozi chiusi e l’aria da sopravvissuti di quei pochi che hanno il coraggio di alzare le serrande, mi piace ascoltare il silenzio.
    In silenzio passiamo metà del pranzo, come se ognuno si stesse riprendendo da pensieri strani e faticosi, guardando fuori dalle vetrate di questo piccolo locale che mi sembra aperto più per pigrizia che per accogliere clienti. Non so cos’ha pensato lei, quando si è azzittita in macchina e non ha più spiccicato parola per una mezz’ora buona. So cos’ho pensato io, e tanto mi basta. L’altra metà del pranzo la passiamo parlando del più e del meno, rilassandoci per quanto ci è possibile. Lei mi prende in giro perché capisce benissimo che mi sto godendo il momento e al tempo stesso mi sento in colpa, e controllo la posta ogni trenta secondi, e dico tre volte che forse dovremmo risalire in macchina e andare dove il resto dell’azienda ci aspetta. Io la ascolto parlarmi della sua migliore amica, delle serate in palestra per combattere la cellulite, della collega freddolosa. Scopriamo di essere enormemente diversi e scopriamo che abbiamo un debole per lo stesso scrittore. Pago il conto, stai tranquilla lo metto in nota spese, e usciamo per fare due passi. Nel momento in cui ho l’impressione che stia per prendermi sotto braccio, le squilla il cellulare. Guarda il nome di chi chiama, risponde con un “ciao” strano, un misto di imbarazzo, calore e scocciatura. Si stacca un po’, io giro la testa, faccio finta di guardare prima il mare e poi le vetrine dall’altra parte della strada, cerco di capire chi è senza far vedere che sto ascoltando. Che sia un uomo è chiaro, chi sia non lo so. Decido di fare un paio di telefonate anch’io, cose di lavoro, più per tenermi occupato che per altro. La collega svedese, quelli delle P.R. di Milano. Alice continua a parlare al telefono. Sono così stupido che mi sento geloso, come se qualcuno stesse provando a rubarmela in queste ore ritagliate alla rigida pianificazione del tempo: sono così stupido che la sento mia, almeno per oggi, anche se solo sei ore fa era chiaro come il sole che non mi sopportava. Non so se parlava sul serio quando diceva “fermiamoci qui questa notte, al meeting possiamo andare domani mattina”. Adesso, mentre la guardo da una decina di metri di distanza mentre parla al telefono, vorrei solo accendere il motore, andare dove dovevamo andare e farla finita.

    [Lei]
    Il mare in questa stagione è di una tristezza infinita. Credo sia il panorama desolato, il fatto che in giro non c’è nessuno, il vento che soffia senza troppa decisione. C’è elettricità nell’aria, la posso sentire mentre passeggio con lui sul lungomare. C’è troppo silenzio. Si direbbe quasi che tra di noi c’è qualcosa, e che basterebbe poco per farsi avanti e coglierlo. Cosa, io non lo so. Come coglierlo, nemmeno. Soprattutto, non so se ne valga la pena. Forse mi va bene tenerlo così, forse è solo per adesso.
    Intanto camminiamo e non mi sono mai sentita così sospesa. E’ colpa dell’elettricità, sicuro. Per questo butto lì una frase che a ben vedere potrebbe risultare fuori luogo. Per questo accumulo cazzate su cazzate, lo prendo in giro, lo faccio sorridere. Perché mi sento come se potessi fare tutto, come se le possibilità fossero infinite, così come le promesse che mi sembra di leggere tra le righe. Un lungomare spoglio che aspetta solo l’estate. E, come al solito, mi riduco a inanellare una serie di stupidaggini.
    Forse il meglio di me l’ho già dato.
    Forse lui ha già dato il meglio di sé, e anche la situazione.
    E infatti, squilla il telefono. “A rapporto”, penso. E se c’è una cosa che non riesco a fare è mascherare l’imbarazzo. Mi allontano, parlo. Ritorno da lui. Avrei voglia di comprarmi un gelato per il solo piacere di sbrodolarmelo addosso.
    Ma così non si fa, Alice, si usa il tovagliolo.
    Sali in macchina, da brava.

    One Response to “Tappe forzate – 7”

    1. Sir Squonk Says:

      Qui una volta c’erano dei commenti. Non mi chiedete che fine han fatto, che non lo so.

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