Il quaderno
Dopo l’ultima stretta di mano la casa rimane vuota. Sul tavolo della cucina una manciata di bicchieri di plastica che tengono sul fondo qualche goccia di uno spumante comprato di corsa al supermercato, e una fetta di torta al cioccolato appena sbocconcellata. Sul tavolo della sala c’è un quaderno, con le righe da terza elementare. La prima decina di pagine è occupata da firme, qualcuna seguita da un breve pensiero. L’uomo prende il quaderno in mano, fa scorrere i fogli sotto il pollice, senza leggere, senza vedere nulla, né le firme che ci sono, né quelle che mancano. Si sposta verso il grande specchio che occupa una parte del corridoio, si guarda, fissa l’abito scuro e la cravatta nera, e con un riflesso automatico porta le mani verso il nodo per stringerlo bene, per non far intravvedere nemmeno un microscopico angolo del bottone che allaccia il collo della camicia. Quando suona il campanello tira un sospiro e va ad aprire la porta di casa, trovandosi di fronte la vicina, che gli chiede con voce calma se ha bisogno di qualcosa; lui rimane per qualche secondo in silenzio, e in quel brevissimo tempo lei lo fissa negli occhi, lo fa dall’alto dei suoi anni come una madre potrebbe guardare un figlio, e gli dice solo “mi faccia entrare, si sieda, le preparo qualcosa da mangiare”. Lui si scosta, la guarda entrare e dirigersi verso la cucina, e fissandosi la lucida punta delle scarpe nere riesce solo a dirle “grazie”.