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26/03/2004
Leggo oggi, a casa della PlacidaSignora, la Ballata del Persuasore di Marcello Marchesi.
Bella, niente da dire. Nella forma, nei contenuti, nella preveggenza.
Ma. Il “ma” è questo: Marchesi, che noi conosciamo come autore radio-televisivo, era un pubblicitario. Si guadagnava la vita anche (e forse soprattutto), inventando quelli che una volta si chiamavano slogan, e che oggi noi gente del marketing definiamo headlines. Cose come “ti spunta un fiore in bocca“, per intenderci.
Io capisco e so che le critiche migliori sono quelle che vengono da intelligenze “interne”: si sa e si conosce meglio ciò di cui si parla, ciò che si critica. E spesso, queste sono critiche dettate da una sorta di amore per ciò che si fa, per il proprio lavoro, per il proprio microcosmo.
Eppure, io guardo sempre con un certo sospetto alle quinte colonne. So che è banale, che il dire “sputi nel piatto dove mangi” è dannatamente semplicistico. Però, che un calciatore dica “il mondo del calcio fa schifo” e continui a tirar pedate, che un pubblicitario irrida il tentativo di inganno o di persuasione che lui stesso compie ogni giorno, che un politico gridi “i politici son tutti ladri” e continui a star lì, sulla sua poltrona, beh, è una cosa che non riesco a digerire. Ci provo, ma non ce la faccio.
PlacidaSignora
Ieri sera, non so se grazie a o per colpa dell’alcool ingurgitato, credo di aver detto una cosa del genere: non essendo un valore, è un valore.
Le otto persone presenti hanno – giuro – applaudito.
Non ricordo a cosa mi riferivo, proferendo quella massima, ma temo di aver detto una cosa sensata, dati i bassi tempi che corrono.
25/03/2004
Mi rendo conto che tra i miei bookmark resiste, intatto ed immotivato, quello di Quinto Stato.
Frase carpita pochi secondi fa: questa sera devo vedere della gente, e non ho avuto tempo di leggere i loro blog.
Non so chi sei, o pinguino visitatore. Ma l’idea che tu scruti i cieli da un nuraghe mi commuove. E ti saluto con affetto.
Non importa quello che hai nel carrello, o in mano.
E’ proprio quello che dovevi comprare. Una camicia, un giubbotto, un pigiama – che tu non sei di quelli che dormono vestiti di solo Chanel, tu assomigli a Tony Soprano, piuttosto – avevi un obiettivo e l’hai raggiunto.
Ora devi solo arrivare alla cassa, presentare il tuo oggetto del desiderio, e lasciar fare alla carta di credito il suo sporco e benedetto lavoro.
Ma hai una signora davanti a te, nella coda. Sei spacciato.
Perchè, in quei due minuti che la signora ed il cassiere impiegano a sbrigare le loro faccende, tu fai girare gli occhi. A destra, a sinistra, fino a quando incontrano quei due guanti. Guanti, sì, ma del tutto speciali.
I due elementi del paio hanno diversa dimensione. Uno è da adulto, e l’altro da bambino. Uno sta nel palmo dell’altro.
E poi.
Sono gialli, di un giallo forte e caldo, come quello delle tue Converse Weapon. E sulla punta di ciascun dito, altri colori: nero, ed un bell’arancione, a creare delle facce di pennuti ridenti. Come quelli che vedi ogni sera, seduto sul divano, in dolce compagnia.
Ti chiamano, i guanti ed i pennuti. Ti dicono “Amico, aspettavamo proprio te. Compraci, facci cadere nel sacchetto insieme al tuo pigiama, facci riemergere dall’oblio davanti al radioso sorriso di una bambina, donaci una vita nella tua vasca da bagno”.
A dispetto della tua esperienza, del tuo cinismo, degli esami all’università, cedi al richiamo. La signora si sposta, si dirige verso l’uscita, ed ora i guanti ed i pennuti sono lì, sul bancone, insieme al pigiama ed alla carta di credito.
E tu, adesso, stai bene. Sorridi, come i pennuti, e ti senti leggero, proprio come loro. Ed il tuo conto in banca.
24/03/2004
In calce al post di ieri, o meglio, alla citazione del post di Fuoridalcoro.
La storia – la maiuscola la metta chi vuole – è fatta di onde grandi e piccole: quelle enormi della tempesta perfetta, e quelle minuscole che si adagiano sulla battigia di Bosa Marina. Sembrano molto diverse tra loro, queste onde, ed in buona misura lo sono davvero. Le prime vivono di sè, e sono abbastanza forti da lasciare il segno; le seconde, per lasciare questo segno, hanno bisogno di migliaia, milioni di altre onde uguali a loro.
Eppure, sia le une che le altre modificano il corso delle cose (si potrebbe dire che sono il corso delle cose). Sia le une che le altre sono prima cronaca, e poi storia. Ecco perchè vale la pena raccontarle, come si sa e come si può: del nostro passato prendiamo coscienza sia leggendo ponderosi tomi, sia guardando le foto color seppia che troviamo nei cassetti dei nostri nonni.
La blogpalla, oggi, mi sembra fatta da pochi scrittori (ed anche qui, la maiuscola la metta chi vuole) e moltissimi fotografi dilettanti, alcuni molto bravi, altri meno. Ma mi consola l’idea che, tra dieci o vent’anni, si potranno leggere questi post a complemento dei testi universitari, e si capirà qualcosa in più dei tempi che abbiamo vissuto.
23/03/2004
Gran post di Carlo Annese. Cito soltanto la chiusura, ma leggetevelo tutto, mi raccomando (Note: la persona con la quale Carlo dialoga a distanza è Giuseppe Guru Granieri; bloc è la crasi di blog e local).
Se non ci sono più i cronisti d’assalto, con le scarpe bucate e i taccuini colmi d’appunti, e se è difficile anche per strutture editoriali importanti riuscire a sintetizzare cosa accade nei quartieri e nelle città, non per questo la cronaca è finita. Se prima si raccoglieva per strada, adesso si diffonde via internet, per il semplice fatto che qualcuno parla di sè: del proprio modo di spendere lo stipendio, di andare al cinema, di usare i mezzi pubblici, di portare i bambini a scuola, ma anche di amare, soffrire, essere sano o ammalato in questa Italia. Insomma, credo che i bloc che tu sollecitino esistano già, così come l’aggregatore (il tuo): non è necessario che qualcuno indichi ad altri cosa devono scrivere, è sufficiente che continuino a farlo.
Fuoridalcoro
Si sa che va a finire così, arriva il momento della tua vita nel quale ti rendi conto che, stando alle statistiche, hai un grande avvenire dietro le spalle.
Non pensavi che saresti arrivato a viverlo quel momento: non perchè tu dovessi morire giovane – se possibile, tra Jimi Hendrix e Keith Richards sceglieresti comunque quest’ultimo, chè piantar tutto a ventinove anni non sembra così affascinante – ma perchè l’epifania di quella consapevolezza era (sembrava) così lontana nel tempo.
E invece.
E invece arriva il giorno in cui leggi due righe, scritte da uno che ha solo un anno più di te, e quelle righe dicono Dell’Italia, e del migliore anno per il nostro paese, io saprei solo citare il famoso 1982 dei mondiali di Spagna e di due socialisti alle massime cariche dello stato. E per giunta mi ricordo male: Craxi arrivò solo l’anno dopo.
E pensi che, in fondo, ha ragione; e se questo è il nostro, il tuo best of, beh, oddio.
Quattroeunquarto
Il fratellino Lester compie trentadue anni. Mi sembra ieri, che lo accompagnavo all’asilo.
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