Sarà pure una mostra largamente inferiore a quelle organizzate in altre parti del mondo, e mostra lacune evidenti anche ai profani come me (chessò, lo sbilanciamento sui ritratti di personaggi famosi ed una-sala-una-sola a “Death and Disaster”), ma questo “Andy Warhol Show” per me è più che sufficiente a farmi venire la curiosità di saperne di più di questo figlio di slovacchi nato in Pennsylvania e morto a New York.
Sono uscito dalla mostra con tanti punti di domanda (che non è una brutta cosa: anzi), e con la chiara sensazione che Warhol era un artista nel vero senso del termine: colui che dice la parola che tutti hanno sulla punta della lingua ma nessuno riesce ad esprimere. Metteva in mostra cose e persone che tutti vedevano mille volte al giorno: ma lo faceva in modo da tirarne fuori un significato che si poteva capire solo usando i suoi occhi, quelli dell’Artista, appunto. Warhol era la nostra vista, il nostro udito, il nostro tatto: era uno di quelli che ci faceva – e ancora ci fa – capire il tempo nel quale viviamo, quel tempo che crediamo di conoscere e che invece ci sfugge. Per me, è difficile chiedere di più, e infatti non lo faccio. Chapeau, Andy, e che ti sia lieve la terra.