Il mio corpo che parla
Ogni giorno che Dio manda in terra passo davanti alla vecchia casa, quella che abbiamo venduto tre anni fa, quella dove abbiamo passato dodici anni e spiccioli della nostra vita. Se non esco posso vederla affacciandomi alle finestre della sala, perché ci siamo spostati giusto di qualche centinaio di metri, a portata di occhio. Ha le tapparelle sempre abbassate, come se fosse disabitata; abbiamo chiesto agli amici che ancora abitano in quel palazzo se è davvero vuota, e ci hanno detto di sì, ci hanno detto che non ci abita nessuno. “Mi piaceva la nostra casa, un po’ mi manca”, mi ha detto questa mattina mia figlia mentre la accompagnavo a scuola. “Era la nostra casa”, le ho risposto. Era una cosa viva, piccola e labirintica, ma viva. Immettendomi nel vialone, quello lungo il quale stanno edificando nuovi palazzi, quello dove i Testimoni di Geova hanno costruito la loro Casa, pensavo a questi giorni dove il mio corpo ha ripreso a parlarmi – e quel che mi dice non è bello – pensavo al nostro vecchio appartamento come, appunto, a un corpo parlante, e ci pensavo con affetto e nostalgia; poi ho riascoltato il mio stomaco, il mio petto, e mi son detto che il silenzio può essere una gran bella cosa.