< City Lights. Kerouac Street, San Francisco.
Siediti e leggi un libro

     

Home
Dichiarazione d'intenti
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

Talk to me: e-mail

  • Blogroll

  • Download


    "Greetings from"

    NEW!
    Scarica "My Own Private Milano"


    "On The Blog"

    "5 birilli"

    "Post sotto l'albero 2003"

    "Post sotto l'albero 2004"

    "Post sotto l'albero 2005"

    "Post sotto l'albero 2006"

    "Post sotto l'albero 2007"

    "Post sotto l'albero 2008"

    "Post sotto l'albero 2009"

    "Post sotto l'albero 2010"


    scarica Acrobat Reader

    NEW: versioni ebook e mobile!
    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione mobi"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione mobi"

    Un po' di Copyright Creative Commons License
    Scritti sotto tutela dalla Creative Commons License.

  • Archives:
  • Ultimi Post

  • Mi chiedevo
  • Sapone
  • Di isole e futuro
  • Sulla mappa
  • Nulla da vedere
  • Inevitabilmente
  • La pace sembrava eterna
  • After all these years
  • A., che deve salire su un aereo
  • Debito di ossigeno
  • March 2010
    M T W T F S S
    1234567
    891011121314
    15161718192021
    22232425262728
    293031  

     

    Powered by

  • Meta:
  • concept by
    luca-vs-webdesign

     

    22/03/2010

    Meglio tardi che mai

    Filed under: — JE6 @ 20:24

    “da oggi, qua diventa personal. no lavoro, no marketing. Per le altre cose c’è il blog, twitter e friendfeed. Qualcuno verrà unfriended, non prendetela male, niente di personale, è che siete troppi per essere amici.”
    Gianluca Diegoli, su FaceBook

    Il conto, su un pezzo di carta riciclata

    Filed under: — JE6 @ 12:00

    Fermo la macchina in una via fatta di asfalto sbrecciato e pozzanghere. Ho ancora un’ora di tempo, il telefono non squillerà più per il resto della sera, e ho un po’ fame. Entro nel locale, una pretenziosa pizzeria in una zona sconosciuta di una città altrettanto ignota, e chiedo un posto. Mi accompagnano; appoggio il palmare sul tavolo, mi tolgo il giubbotto. Vorrei mandare un messaggio, poi mi dico che non è il caso: “Non troppo”, mi ripeto. Ordino. Mi guardo intorno. Cinque colleghi che concludono la settimana lavorativa con una pizza, discutendo di chissà cosa; me li immagino nel loro ufficio tecnico di un’azienda manifatturiera, dalle otto di mattina alle sette di sera e novanta minuti di pausa pranzo da prendere a turno, andando a mangiare a casa un piatto di pasta preparato dalla madre che alle quattro del pomeriggio andrà a prendere i bambini all’uscita della scuola. Quattro ragazzi male assortiti, uno che sembra un serial killer elegante e uno che pare il cantante di un gruppo emo, tre bottiglie di birra da sessantasei, dieci euro per passare un paio d’ore e una Punto parcheggiata con abbastanza benzina da raggiungere un autogrill all’una di notte. Una coppia che si tiene per mano, in silenzio, lui grossissimo e lei grossa, ogni tanto si guardano negli occhi e ogni tanto si guardano in giro, ognuno puntando verso un muro diverso. Una famiglia, lui che pare un biker in pensione, lei un’impiegata statale e il ragazzo – il ragazzo avrà vent’anni e non riesco a staccare gli occhi dalla sua giacca della tuta in acetato, nera e verde. Cerco di trovare un denominatore comune a queste persone e all’aria di trash minore che si respira, mischiata al profumo di spaghetti allo scoglio a dieci euro per un minimo di due persone. Non lo trovo. In fondo non ho nemmeno molta voglia di trovarlo. Finisco la pizza. “Non troppo”, mi ripeto ancora nei due minuti durante i quali stacco il cervello. Pago, esco.
    [Dedicato ai casuali soci di una serata inattesa, Oriella e Stefano]