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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
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    20/05/2010

    Albergo FF (la sua stanza è al terzo piano, a destra uscendo dall’ascensore)

    Filed under: — JE6 @ 08:03

    Vengo spesso all’Albergo FF. C’è sempre qualcuno da vedere, c’è sempre qualcuno che fa qualcosa. Se vieni a mezzanotte trovi il gruppetto che fruga negli archivi per trovare la canzone che ti dovrebbe far addormentare tranquillo, e c’è sempre uno che la trova e c’è sempre uno che gli dice oh che bella questa, quanti bei ricordi, grazie di averla messa su. Se passi alle tre c’è quello che ritorna dall’uscita con gli amici e ti fa l’elenco di quanta roba si è scolato, come se poi a te potesse davvero interessare quale bottiglia avesse in mano mentre girava intorno al Monumentale a ridere dei trans al lavoro. Se passi alle quattro c’è il gruppetto degli insonni, quello che studia e quella che ha gli incubi e quella che non riesce a staccarsi dal libro e tu prendi qualcosa perché a me le benzodiazepine non hanno mai fatto nulla. Alle sette inizia a riempirsi la sala della colazione con le sue facce assonnate e le sue borse sotto gli occhi, mentre nella hall vedi sempre qualcuno che esce di corsa dall’ascensore sapendo di aver già perso il treno e si prepara all’ennesimo rimprovero del capufficio. C’è chi sfoglia i giornali, chi butta un occhio allo schermo che passa Sky Tg24. C’è chi fa una telefonata alla moglie, chi chiama un taxi. C’è quella che occupa mezza sala con le valigie che le servono per andare in qualche posto esotico, e chissà che tempo fa e chissà la nube del vulcano. Durante il giorno c’è sempre un viavai al quale si fa l’abitudine, a volte la gente è nervosa e si manda affanculo senza un motivo vero e proprio, una gomitata data inavvertitamente al bancone del bar, una parola detta in un modo e capita in un altro. Ogni tanto arriva un cliente, prende la chiave della sua camera, manda un messaggio, prende l’ascensore e sparisce, e dopo cinque minuti arriva una ragazza in maglietta e jeans, o un uomo elegante in completo blu e cravatta bordeaux che sale senza dire nulla, e si ferma allo stesso piano di quel cliente. Ci sono sempre dei gruppi, a volte arrivano insieme, altre volte si riuniscono alla spicciolata, e non vanno in camera ma nelle meeting room, si chiudono dentro e se tu passi in corridoio e ti fermi davanti alla porta di quella stanza li senti che ridono e hai visto che cazzo di gonna si è messa su e che stronzata ha scritto ma è proprio un cretino e speriamo che a quella festa piova a dirotto.
    A volte me ne sto seduto lì nella hall, perché io non sono proprio un campione di socievolezza e guardo la gente che passa, a volte mi sembrano tutti belli e spigliati e mi immagino le vite magnifiche che hanno, i figli campioni di baseball, i lavori che li portano in giro per il mondo, gli strumenti suonati da professionisti, sesso fantastico tutte le notti. Sto lì a guardare, fin quando i gruppetti vanno nelle loro stanze e la hall si svuota. Capita che mi trovo vicino a una donna, che sta in silenzio anche lei, alternando un’occhiata a una rivista a una alla gente che ci passa davanti. L’altra sera mi sono azzardato a chiederle se le andava di uscire, fare due passi e bere qualcosa insieme. Lei mi ha guardato con un’espressione strana, ha sorriso e mi ha detto “con piacere, ma sono astemia”. Ho sorriso anch’io, le ho risposto che non importa; ci siamo alzati, abbiamo dato al portiere le chiavi delle nostre camere, siamo usciti. Al bancone del bar due clienti stavano parlando dell’iPad.