Per una volta, mi spingo a parlare non dei luoghi che vedo, ma delle persone: sapendo di arrischiarmi, e non poco, nel prendere un campione fatto da una manciata di persone e usarlo per un ragionamento generale.
La prima cosa che mi viene da dire è che, almeno ai miei occhi, Roma ha una straordinaria capacità di annullare le origini; così, mentre a Milano una veronese rimane piuttosto distintamente una veronese e un palermitano resta un palermitano, qui tutti sembrano romani – anche quelli (la gran parte) che non lo sono nè di nascita nè di origine: e più la frequentazione con la città è lunga, più la romanità – qualunque cosa essa sia – sembra diventare parte integrante delle persone che vivono da queste parti.
La seconda cosa che mi viene da dire, ed è diretta conseguenza della prima, è che ogni volta provo la sensazione che se per un caso della vita mi dovessi trasferire qui – a Roma, voglio dire – subirei felicemente la stessa metamorfosi. Non è una cosa che posso dire di altre città.
La terza cosa che mi viene da dire è che un milanese dovrebbe venire a Roma almeno due-tre volte all’anno, e uscire – unico padano – con un gruppo di romani, e farsi fare nero dal loro linguaggio immaginifico, dal loro sarcasmo, dal loro cinismo millenario. Per dire, ma questa frase non so se la capiscono nemmeno le otto persone che ho incontrato ieri sera grazie ai buoni uffici di una persona che non esito a definire “amico” – per quanto l’espressione sia orrendamente abusata -, la cena di ieri sera è stata “curativa”. Poi, chissà, ognuno ha le medicine che si merita, ma questo è un altro discorso.