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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    03/10/2008

    Tappe forzate – 4.

    Filed under: — JE6 @ 11:01

    Questa è una novella a puntate scritta a quattro mani.
    [La prima puntata, qui; la seconda, qui; la terza, qui]

    4. Deviazione obbligatoria

    [Lui]
    Se volevo sorprenderla, ci sono riuscito benissimo. Prima parte facendo la sostenuta, quella che ce l’ha solo lei, quella giovane, bella e maledetta – le occhiaie e il mal di testa come medaglie al valor del mojito. Adesso invece. Deve essersi presa paura, non so. Ha appoggiato il (bel) culo sul sedile ed ha impostato un sorriso tirato, fintamente cordiale, un bel pinzimonio di “questo è pazzo” e “adesso come faccio a tenerlo buono e a distanza”. Fossi il prototipo del bello e bastardo, mi sarei divertito un sacco.
    Invece non lo sono. Né bello né bastardo. Non so come comportarmi: questa donna mi fa incazzare, ma al tempo stesso mi piace, non solo fisicamente; e io, ecco, le vorrei piacere. Per fare cosa non lo so. Mi vergogno persino a pensarlo, tu guarda quanto sono scemo.
    Ci avviciniamo a Piacenza. Butto lì qualche frase un po’ a caso, un po’ per il gusto infantile di non far dormire Alice nel caso volesse farlo, un po’ perché non mi sembra educato essere un cattivo ospite – anche se lei continua a stare sulle sue. Da quanto tempo lavori in azienda, conosci quello, hai sentito di quell’altra. Risultato: un mortorio. Andare al Monumentale e farsi un soliloquio potrebbe essere più eccitante.
    Decido di mettermi il cuore in pace, e di provare a fare come se stessi viaggiando per conto mio, come se lei non ci fosse. In fondo, non vorrebbe esserci: e fra quattro o cinque ore ci saluteremo, nella speranza che lei riesca a trovare una soluzione alternativa per il ritorno così da non doverci sopportare ancora tra due giorni. Così sposto la radio su Virgin, dove non parlano e non passano i Tiromancino. E tu guarda, ma dopo pochi minuti, durante i quali siamo rimasti sempre in silenzio ognuno perso dentro ai cazzi suoi, passano The Great Gig In The Sky. In quel momento mi ritrovo da solo, e finalmente, dopo ore, mi sento bene. Bene davvero. Non so che espressione mi si disegna in faccia, se socchiudo gli occhi, se sorrido, se canticchio a bassissima voce; so che involontariamente mi adeguo alla musica, rallento un po’ e passo sulla corsia di destra, come se questo potesse far durare di più il primo istante sereno da troppo tempo a questa parte.
    Mentre la musica sfuma mi pare di sentire la voce di Alice. Una voce profonda, che ha apparentemente poco a che fare con il suo volto. E però in questo momento ha un tono strano, quasi timido. Mi scuoto dal torpore, volto la testa e la sento chiedermi “Ehi. Tutto bene?”. Sembra un po’ imbarazzata. Un po’ lo sono anch’io, devo dire. “Tutto bene, sì. Perché?” le rispondo. Lei fa un mezzo sorriso che non riesco a interpretare. Torniamo a guardare dritti davanti a noi, ciascuno intento a immaginarsi cosa sta pensando l’altro. Fino a quando uno dei pannelli della società Autostrade ci avvisa che un incidente blocca l’autostrada all’altezza di Parma, dove saremo costretti a uscire. E in quel momento, pensiamo entrambi la stessa cosa: “Merda: e adesso?”.

    [Lei]
    “che cos’è?”
    “una deviazione”
    “perché?”
    “c’è scritto lì”
    “ah”.

    “e adesso?”
    “dobbiamo uscire”
    “ci perderemo”
    “ho il navigatore”
    “ah, già”.

    “un pezzo di statale?”
    “direi di sì”
    “quanti chilometri?”
    “un bel po’ ”
    “arriveremo in ritardo”
    “è probabile”

    “sarà il caso di avvisare”
    “avvisi tu?”
    “non saprei chi avvisare”
    “avvisa la collega che ha organizzato”
    “e chi è?”
    “la Bonetti”
    “non la conosco”
    “da chi hai avuto la comunicazione?”
    “non ricordo”
    “chiama la Bonetti”
    “non ho il numero”
    “scrivo io – passami il BlackBerry -”

    “la vedo lunga”
    “anche io”
    “e allora tanto vale”
    “tanto vale cosa?”
    “mh” (spallucce)

    “la conosci la teoria delle code?”
    “no”
    “è roba di statistica”
    “in pratica?”
    “se restiamo qui in coda siamo dei pirla”
    “ovvero?”
    “andiamo a fare un giro”
    “e dove?”
    “gira qui”
    “obbedisco”
    “bravo”

    “bene, e ora dove vado?”
    “ah non so, chiediamo”
    “chiediamo cosa?”
    “un posto da vedere”

    Dimmelo tu se non è vero, che su cento uomini che conosci uno solo riesce a farti una sorpresa. Dico sorpresa non come fosse un regalo, ma solo un attimo, in cui lo guardi e vedi qualcosa che ti pare familiare. Un lampo che non ti aspetti: il ricordo di un momento, o forse un gesto che hai desiderato, oppure un particolare che ritorna spesso nei tuoi sogni della sera. Dimmelo tu se non è vero, tu che una volta mi hai fatto quel tipo di sorpresa. E se non lo vuoi dire tu allora te lo dico io, che invece stavolta un’altra sorpresa c’è stata, in questo paese che non so dove sia, quando lui si è allontanato un secondo dopo essere sceso dalla macchina. Ti dico solo che è stato in quel momento, quello in cui non pensava lo guardassi, in cui ha sorriso tra sé e sé allargando un po’ le braccia, come per arrendersi, come per difendersi. E’ stato allora che ho visto lui.
    Te lo dico io ora che non è vero, perché che su cento uomini che conosci ce ne sono almeno due che ti fanno una sorpresa.

    E adesso vado e lo prendo con me.