Greetings from Las Vegas – 12. Jessica
Ha il nome di una spogliarellista, ma non ne ha nè il fisico nè il temperamento. E’ la mia cliente più importante, ed è un’amica. E’ una fortuna non da poco. Everything is great with Italy, mi dice – e in effetti abbiamo quintuplicato il fatturato in cinque anni. Parliamo un po’ di lavoro, vediamo i risultati delle campagne appena concluse, facciamo un po’ di pianificazione prima del meeting di febbraio. Poi, come al solito, divaghiamo. Jess è un’americana di seconda generazione, la famiglia viene dalla vecchia Bielorussia – e soltanto una parte è riuscita a sfuggire ai pogrom e allo sterminio degli ebrei. Ha un po’ di parenti in Francia, è venuta in Itaia a vedere dove alcuni suoi zii si sono rifugiati per qualche tempo. E’ il miglior tipo di americano possibile, quello che è orgoglioso del suo paese ma sa dov’è e cos’è il resto del mondo. Ho sentito che l’85% degli americani non ha il passaporto, le dico facendo un po’ di ironia sui suoi compatrioti che vengono a Las Vegas pensando di andare a Venezia o a Parigi. Should it be only 50% I wouldn’t be surprised – but I’m horrified anyway, mi risponde. Ci vediamo due o tre volte all’anno, una volta a Londra, una in Francia, una in America. E ogni volta parlare con questa quasi cinquantenne che usa un american english pieno di accenti frutto dell’essere nata a New York, vissuta a Philadelphia e trapiantata a San Diego rappresenta una piccola oasi, è stare con una persona e non con un biglietto da visita. Thank you for your time, mi dice quando ci salutiamo – io sorrido, la abbraccio, lei mi dice di salutare Francesca, take care until next time, and let’s keep in touch Jess.