Grazie (mille)
Lo diciamo cento volte al giorno, all’edicolante che ci dà il resto, alla panettiera che ci allunga due francesini, al collega che ci offre il caffè, una decina di volte al ristorante lungo l’intero percorso di un pranzo (quando ci portano il menù, quando ci portano da bere, quando ci portano il primo, quando ci ritirano il piatto – e così via, grazie grazie grazie). Lo diciamo per buona educazione, per convenzione sociale e a volte per un bizzarro gusto di sorprendere con un’inattesa gentilezza chi sta semplicemente facendo il suo lavoro e non si aspetta di essere ringraziato per questo. Poi, siccome siamo quel che siamo – nervosi, scorbutici, presi solo e unicamente dai fatti nostri – non degniamo della minima attenzione quei piccoli segni di umanità che non si capisce se diamo per scontati o cos’altro: la moglie che ha allungato la strada per passare in tintoria al tuo posto, l’amico che ti scrive “wish you were here”, anche lo sconosciuto che ti mette un like su FriendFeed. Ogni giorno ci togliamo qualcosa, ed è qualcosa che non torna, che non ha ricompensa.
October 28th, 2008 at 20:32
Sa una cosa, Sir?
Grazie.
Perché scrivere questa cosa non è da tutti.
E non è da tutti accorgersi che le piccole cortesie, i gesti minimi, tanto più donati perché non richiesti, sono una ricchezza a cui rinunciamo, giorno per giorno.
Perciò, forse non mille, ma grazie di nuovo.