Setacci
Mi piace, quando posso, venire al Bagno 51. Non ha nulla di particolare, se non il portare, insieme al numero il nome dei miei genitori, e forse è quello che me lo ha fatto notare e reso simpatico quando mi hanno trasferito qui poco più di un anno fa. Esco dall’ufficio, dico ai colleghi che no, non vengo a mangiare, sono a dieta, e mi faccio due passi sulla spiaggia. Fino al Bagno 51. Oggi è una giornata grigia ma non fredda, l’inverno sta finendo, anche se a fatica. Vicino alla riva vedo seduto Paolo, il figlio dei due gestori. Ha otto anni, lo so perché qualche volta ho scambiato due parole con suo padre e sua madre, e ha la stessa età di mia nipote. Mi avvicino, lo saluto, come mai non sei a scuola, gli chiedo, stanotte non sono stato molto bene, la mamma mi ha fatto restare a casa per riposare un po’, risponde. Sta a gambe larghe, con due secchielli, due setacci e una paletta che occupano lo spazio tra le ginocchia. Io mi accuccio vicino a lui, non mi siedo perché non voglio riempirmi di sabbia i jeans, per un po’ resto in silenzio, ogni tanto guardo il mare fermo e di piombo, ogni tanto guardo lui che riempie la paletta di sabbia e la fa passare attraverso il setaccio che copre il secchiello più grande. Cosa fai, gli chiedo, lo vedi, risponde lui, sì lo vedo, e restiamo ancora un po’ in silenzio. Faccio passare la sabbia attraverso il setaccio, dice lui d’improvviso, e perché gli chiedo io, perché nella sabbia ci sono delle cose belle, dice lui senza guardarmi mai in faccia, intento nel suo lavoro. Perché hai due secchielli, gli chiedo ancora, e lui non risponde, fa passare un dito sulle maglie del setaccio che copre il secchiello grande, ho due secchielli perché ho due setacci, dice senza alzare gli occhi, e perché hai due setacci, gli dico rendendomi conto che non gli sto parlando come a un bambino di otto anni ma come a un uomo anziano e saggio, lui prende tra le mani il primo setaccio e lo rovescia delicatamente sul secondo, che ha le maglie più strette, e rimangono solo una piccola conchiglia rosacea e un sasso tondo e liscio, che pare fatto di alabastro, altrettanto piccolo. Perché così rimangono le cose più preziose, dice con la voce bassa. Ma non sono così belle, dico io, e mi sento stupido nel momento stesso in cui ascolto la mia voce, cosa voglio fare, polemizzare con un bambino di otto anni, fare il bastian contrario, ma perché, ma lui sembra non curarsene, dice solo sono le cose più preziose. Sento alle nostre spalle la voce di Anna, la madre, chiamare Paolo per il pranzo, io giro la testa, le faccio un cenno di saluto con la mano, lei sorride e mi chiede se voglio entrare nel locale a bere un caffè, io le dico no grazie, molto gentile, la prossima volta, guardo l’orologio, ho tempo per fare ancora due passi prima di rientrare in ufficio, allungo la mano verso la testa del bambino per arruffargli i capelli mentre si sta alzando, poi la ritraggo, lo guardo prendere lo conchiglia e il sasso tra pollice e indice della mano destra e appoggiarli con cura sul palmo della mano sinistra, arrivo mamma dice, ciao Paolino ci vediamo presto, stai bene, lui mi guarda e finalmente sorride, ciao, vado a mangiare.