Ma ti ricordi
Io sono uno che si è messo come dichiarazione d’intenti la frase di Marquez sulla vita che è quella che si ricorda, mica quella che si è vissuta, e allora figurati se non mi affascinano queste storie sulla memoria, prima quella degli scienziati che lavorano sul cervello per cancellare i brutti ricordi (lo so, niente di nuovo sotto il cielo: centinaia di vittime di eventi traumatici vengono trattati in questo modo per contenere i danni ed evitare che il resto della loro vita venga totalmente rovinato dai ricordi di quei momenti e dal modo subdolo in cui possono condizionare aspetti della vita apparentemente del tutto scollegati), e poi quella fantastica di Christoph Kramer, che gioca la finale dei mondiali, prende una botta in testa e non si ricorda di un solo secondo di quei trentuno minuti passati in campo (che poi se vogliamo la cosa ancora più fantastica è che Kramer quella partita mica doveva giocarla, l’hanno mandato in campo all’ultimo minuto perché Kedira si è infortunato, a guardarla bene non si ricorda una cosa che non doveva fare). Leggo, ci penso, prima mi viene da dire eh ma mica è giusto, la vita è tutto, tutto insieme, e passi per quello che non sai che è successo, ma addirittura metterci le mani e passarci sopra la gomma, quella con un pezzo rosso per la matita e uno blu per la penna così andiamo sul sicuro, mi viene da dire che c’è qualcosa di sbagliato, no no no non si fa così, epperò poi mi dico che in fondo uno le malattie le cura, quantomeno ci prova, se hai la febbre ti prendi la tachipirina, se un certo episodio ti si è incistato da qualche parte e marcisce rovinandoti dei pezzi di vita e qualcuno è capace di passarti un mociovileda nella testa e fare pulizia e non farti stare più male non c’è nulla di sbagliato no? e insomma alla fine non sono sicuro, c’è una certa bellezza anche nel casino che queste storie ti mettono in testa, in fondo pensa come sarebbe bello, come sarebbe giusto se qualcuno potesse ridare a Kramer quello che era suo, non fargli perdere per sempre la cosa più bella che ha vissuto, non costringerlo a guardarsi in televisione per convincersi che sì cazzo, ho giocato la finale dei mondiali, c’ero anch’io, epperò questo vuol dire riscrivere la storia, quella con la minuscola, quella personale di un ragazzo di ventitre anni, che è il primo passo del poterla riscrivere del tutto, pure quella con la maiuscola – non so, magari voi un’idea chiara al riguardo ce l’avete, io no, e non so nemmeno se voglio averla.