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31/08/2011
Se quando il tuo avversario politico scampa un processo o una sentenza perché il reato è prescritto tu punti il dito dicendo “eh, ma se non ci fosse stata la prescrizione lo avrebbero messo dentro” sottintendendo che c’è un colpevole che gira indisturbato per le strade della città, e se quando il tuo compagno politico potrebbe scampare un processo o una sentenza perché il reato è prescritto tu gli appoggi paterno la mano sulla spalla e gli dici, a voce abbastanza alta perché tutti ti sentano, “guarda, sarebbe proprio bello che tu rinunciassi alla prescrizione” sottintendendo che le persone nobili e oneste non sfuggono alla giustizia nascondendosi dietro il calendario, allora non faresti prima a chiedere l’abolizione dell’istituto della prescrizione, così ti risparmieresti tanta fatica?
29/08/2011
Non so voi, ma io ogni volta che leggo di un vertice Berlusconi-Bossi me li immagino davanti al caminetto, con un tavolino rotondo tra le due poltrone e un interprete che li aiuta (uno, perché che ci siano addirittura due cristiani capaci di capire cosa dice l’Umberto mi pare una cosa impossibile da credere).
25/08/2011
[Da Strauss-Kahn alle traduzioni del TG1, passando attraverso tutti i mancati “ci siamo sbagliati” della fretta e della cattiva coscienza] Ma non è che si potrebbe pensare a una moratoria della cronaca, una roba tipo fare i giornali con notizie di tre-quattro anni prima quando magari si hanno le idee un po’ più chiare su cosa è successo per davvero? Sì, lo so che Ustica non sarebbe ancora inclusa, ma non è che si può avere proprio tutto dalla vita.
21/08/2011
Di solito sono il primo ad arrivare in spiaggia, la mattina. Passo nello spogliatoio, mi sfilo la maglietta che ho messo a casa e indosso la canottiera rossa, quella con la scritta “Salvataggio”. A volte a quell’ora passa un gruppo di ragazzi che torna da una discoteca, di quelli che vengono in vacanza per dormire di giorno e provare a scopare di notte, io li guardo e con le buone gli dico di tornare nella loro pensioncina a due stelle perché non voglio casino, la mattina presto è la perfezione mandata da Dio in terra e non voglio farmela rovinare da quattro stronzetti che non sanno chi era Bukowski.
Non succede mai niente, qui. E a me va bene così. L’acqua è troppo bassa perché qualcuno possa affogare, tutto quel che devo fare è guardare il mare piatto e opaco e controllare che nessuno dia fastidio a nessun altro. Mi siedo dietro i miei occhiali da sole, saluto, come va signora Laura, guardo le coppie male assortite che camminano da destra a sinistra e poi da sinistra a destra, faccio il giudice nella gara tra due ragazzini a chi fa il tuffo più bello con rincorsa dalla prima fila di ombrelloni, aiuto la vedova di Saronno a infilare il braccio che non può essere bagnato dall’acqua salata in una specie di custodia trasparente che assomiglia a un gigantesco sacchetto per il freezer. Sotto il mio ombrellone si fermano in tanti, e io ho una parola per tutti: il calciomercato, la politica, le vacanze dell’anno prossimo o di quello passato, il ristorante dove andare a mangiare la sera. Ogni tanto mi fermo a fissare questi tipi pieni di tatuaggi e vorrei chiedergli dov’è la balena bianca, poi penso che il senso del ridicolo è relativo come quasi qualsiasi altra cosa nella vita, e allora lascio perdere. Capita che mi sorprendo a fissare queste bambine di due o tre anni, e le vedo tutte bellissime, con i loro ricciolini e la piccola pancia buttata in fuori, gli occhi grandi e quella risata di gola dei bambini piccoli, sono magnifiche come i quadri dei musei, poi mi risveglio e guardo le donne che passano sul bagnasciuga, allora mi torna in mente mio nonno che mi diceva sai, le tedesche quando hanno quindici anni sono belle che tu ci perdi la testa, ma quando arrivano a trenta sono tutte sfatte, sarà la birra che bevono, e allora io penso che qui sono tutte tedesche, chissà cos’è che ha rovinato quelle bambine bellissime, chissà cos’è che le rovinerà. Ogni giorno si ferma qualche ragazza che ci prova, se stai in un villaggio turistico c’è l’animatore, qui in spiaggia c’è il bagnino. Quelle che preferisco sono quelle che dopo cinque minuti mi chiedono se ce l’ho una ragazza, così posso dir loro di sì, anche se poi non continuo e non dico loro che lei non lo sa, o forse lo immagina che per me è così anche se ci sentiamo un paio di sere alla settimana e io le chiedo che tempo fa lì su al nord dove abita e lei ride e dice che fa caldo come qui, poi a volte mi saluta un po’ imbarazzata perché deve uscire con degli amici e io le dico ciao, buona serata, e poi vado a farmi un’altra doccia perché mi viene da piangere.
Vicino alla mia seggiola sta la barca a remi, rossa con il nome del bagno scritto in vernice bianca. Non l’ho mai usato, non ce n’è mai stato bisogno. Però la sera, prima di tornare a casa, vado nella palestra di un mio amico e mi faccio mezz’ora di esercizi perché voglio essere sempre pronto, e capita che mentre sto facendo i bicipiti mi immagino la scena, cento persone in riva al mare con il fiato sospeso mentre io volo sull’acqua facendo mulinare i remi fino a raggiungere quel bambino che Dio solo sa perché è lì, da solo, ma non importa, ormai sta per annegare e invece arriva l’eroe che lo salva. Però non succede mai niente qui, e anche quest’anno passerà senza mai aver usato la barca, e i remi. A me va bene così.
20/08/2011
Ma voi, voi ve la ricordate l’ultima volta che questo paese NON è stato in crisi? Io no.
19/08/2011
La gente parcheggia, scende, percorre i venti o cento metri della spiaggia. Poi si spoglia. E quel che fa impressione non sono le colonne scoliotiche, i ventri dilatati, i seni cadenti, le scottature, le celluliti. Sono i tagli – all’altezza dello sterno, dell’ombelico, dei reni – i tagli, le cicatrici, li guardi e ti chiedi perché, quello magari è un prelievo di midollo (chissà poi se si deve aprire e richiudere così), quello sembra un by-pass, diosanto ma quei venti centimetri di punti in verticale proprio sullo stomaco di quell’uomo cosa mai gli avranno fatto, sembra la riunione dei reduci dei pazienti di E.R., quelli che la possono raccontare leggendo il giornale di provincia e spalmandosi la crema protezione 20.
14/08/2011
Era giugno, era il 2003. Presi la 125a strada, verso ovest, verso l’Apollo Theatre. Era la mia prima volta a New York, e ad Harlem mi guardavo in giro come un bambino nel suo paese delle meraviglie. Non sono mai stato appassionato di shopping, non sono uno di quelli che partono con una valigia e tornano con due, e sanno dove si fanno gli affari – il cambio favorevole, il negozio figo. Però quel giorno entrai in uno di questi enormi empori di scarpe, di sneakers, mi feci un regalo – due paia, uno di Converse Weapon basse con i colori dei Lakers anche se era una squadra che io, tifoso dei 76ers, non avevo mai sopportato, e uno di Nike – no, non so il nome del modello, so solo che mi piacevano, e che le portai a Milano. Le ho indossate per otto anni, come si fa con quei jeans che li metti oggi e poi domani e poi ancora e ancora perché ti ci affezioni anche se li vedi sempre più lisi, ma in fondo anche sui volti degli amici arrivano le rughe, e chissenefrega. Poi niente, le ho usate un’ultima volta, le ho torchiate ancora quelle Nike comprate un giorno di giugno ad Harlem, poi mi sono seduto sul letto, le ho sfilate, e ho visto che si erano rotte – sfasciate proprio, ma solo quando avevano finito il loro lavoro, da W 125th Street alla periferia di Milano, adesso sono lì, sul balcone che aspettano di essere buttate via, sono solo delle scarpe, ma a me dispiace un po’.
08/08/2011
Si avvicinò alla curva del sentiero camminando lentamente, passando gli occhi dalla punta degli scarponi alla cresta delle montagne grigie. Aveva la testa vuota, nessun pensiero, nessun sentimento. Proprio di fronte a sé vide la nuvola, in corrispondenza di una delle cime della catena. Dapprima non vi fece caso, era una delle cento forme di panna di quella giornata magnifica, mutevoli e brillanti come aveva visto nei cieli del Nord Europa. Poi la fissò con più attenzione, sorrise guardandone la sagoma, identica a quella vista in cento brutti film e mille documentari, un fungo piantato sulla vetta di una montagna. Quando arrivò alla curva del sentiero gli si aprì davanti agli occhi il panorama intero della catena montuosa, centinaia di chilometri di spuntoni e colli e valichi. La nuvola a forma di fungo stava sempre lì, più grande di tutte le altre, e ferma, immobile. Si fermò anche lui. Da una tasca dello zaino estrasse una borraccia. Mentre se la portava alla bocca vide un punto nero che si muoveva, uscendo dalla nuvola e puntando verso l’azzurro del cielo terso. Strizzò gli occhi, e vide che era un aereo.
03/08/2011
Allora?
Cosa.
Su, forza.
Va bene, va bene.
Allora?
E’ bello.
Davvero?
Sì. Molto.
Posso dire “te l’avevo detto”?
Direi di sì.
Un sacco di volte.
Già. Una cinquantina, almeno.
Anche di più.
Sessanta.
Eh.
Eh.
Dai, non voglio infierire. Qual è la cosa che ti piace di più?
Beh, non saprei, ce ne sono tante.
Eddai, una. La prima, ce ne sarà una sopra tutte, no?
Sì.
Dai, dimmela.
La sigla.
Cretino.
Scusa. Ma guarda che è bella davvero, eh. Comunque, non so, alla fine mi piace un po’ tutto.
Sì, capisco. Lo so.
E’ che dura poco, e quindi sono già lì che penso.
Cosa.
What’s next?
Hahahahahaha.
Vabeh.
Cosa.
Niente. Senti.
Dimmi.
Grazie.
Prego, scemo.
02/08/2011
Guardo il calendario, oggi che è una delle molte ricorrenze di questo periodo, un’infinita sequela di giornate della memoria valide fino al prossimo circolino sul calendario, un continuo esercizio di e dai, dimmi, tu dov’eri dieci anni fa, e venti, e trenta, guardo il calendario e vedo che sono passati sei mesi – lavoro nuovo, colleghi nuovi, orari nuovi – e niente, diosanto, come passa il tempo.
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