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27/08/2014
Sposto per caso lo sguardo verso di lei nel momento in cui si assesta sulla poltroncina e tira fuori il telefono da una borsetta. Ha il fisico pieno di una matrona giovanile e ipercinetica, l’accento che vaga tra Orvieto e Viterbo, sta a metà fra i cinquanta e i sessanta e viverle insieme dev’essere una versione dell’inferno girato da Verdone. Per la mezz’ora successiva attacca con metodo militare la rubrica: sono telefonate tutte uguali, ciao tesoro come stai, come state, qui c’è il sole, lì da voi com’è, si ricorda tutti i nomi senza sbagliarne uno con un misto di tigna e piacere, si capisce è contenta di sentire la sorella e il cugino e la nipote e l’amica che è come se fosse una parente di sangue, e si capisce che sente il dovere di quelle telefonate – se avesse qualche anno in meno e le dita meno grasse e grosse starebbe facendo lo stesso via mail o WhatsApp. Riesco a vedermi le facce di quelli che le telefonate le ricevono, le sopracciglia che si inarcano, il marito a fianco che in playback dice chi è, zia Nerina, ommadonna siamo a posto; e riesco a vedermi le stesse facce in un altro momento, quello nel quale dicono epperò se non ci fosse lei a tenere insieme la baracca, a ricordarsi di tutti, a rabberciarci, a mantenerci legati – perché è così, perché la gente non sta insieme se non fa lo sforzo di stare insieme, se non chiede come stai e come va anche se non ne ha voglia, anche se ha la testa da un’altra parte, anche se fra tre giorni si rientra a casa, anche se ma che cazzo ma perché devo essere sempre io. Quando finisce la lista rimette il telefono nella borsetta, e ha uno sguardo come di chi ha finito un lavoro, e di chi si sente in pace con la coscienza, e di chi ha fatto una cosa giusta, o buona. E sembra che stia meglio di tutti noi, meglio “dentro”, dove conta.
26/08/2014
Ci sono giorni, quelli nei quali la home è infest monopolizzata da decine di ooohhhh e whoa e tappeti rossi, ci sono giorni che ti sembra di essere più vicino al mondo, e quindi di riuscire a capire meglio i ragazzi delle curve sud, o i PapaBoys – sono anche i giorni nei quali senti un rinnovato interesse a saperne di più della politica interna francese, vedi che non tutto il male viene per nuocere.
21/08/2014
Amore mio, t’assicuro che da noi er mare e ‘na latrina, nun so se Ostia te disce quarcosa, ma armeno a ogni lido se bballa fino alle cinque der mattino, qui sarà pure ‘n paradiso ma bello mio è proprio ‘n mortorio
18/08/2014
Ogni tanto penso ai miei nonni, che hanno passato una vita a fare i contadini, che hanno passato una vita a santificare le feste e a non perdere una sola ora di un solo giorno che servisse a fare quello che c’era da fare – falciare, seminare, potare – ogni tanto penso a loro, e a cosa direbbero ascoltando me e i miei colleghi e noi del terziario che è avanzato quando parliamo di questa ora al giorno che dobbiamo sottrarre al nostro totem delle vacanze per dedicarla al lavoro, e a cosa direbbero ascoltando quelli che ci disprezzano perché lo facciamo senza sapere se dobbiamo farlo o se abbiamo voglia di farlo. Forse non direbbero nulla, i miei nonni erano tutti di poche parole. Forse non avrebbero capito, forse avrebbero capito fin troppo bene.
14/08/2014
[I casi della vita] Ieri, nella stessa sera, ho prima ascoltato un intero disco di Cherubini Lorenzo in arte Jovanotti – ascoltato proprio, con tanto di testi – e poi letto la letterina inviata al PresDelCons da Hewson Paul in arte Vox Bono. E mi è parso di intravvedere un pattern, diciamo, quello del pischello-che-sa-costruire-una-rima-baciata-e-quando-cresce-si-crede-e-gli-fanno-credere-di-essere-un-pensatore-nonché-una-guida-sociale-e-politica – d’altra parte anche Gesù Cristo va a “American Popstar”, no?
13/08/2014
Qui e ora, dice. Non pensare ad altro, qui e ora su questa sottile linea di asfalto, rossa della polvere fine che viene dai campi tagliati in due dalla strada, l’ondulazione ubriaca del caldo feroce, gli alberi di un’altra vita con altre persone. Qui e ora, togliendo e tagliando persone e cose e viaggi e messaggi fino a far rimanere l’unica cosa importante, quella che sta qui, la sottile linea rossa che porta chissà dove, che viene da chissà dove, nascondendoti fino al rientro, quando si parlerà di altro, e non farai domande, né le vorrai ricevere.
08/08/2014
Come si scordano in fretta le cose, l’anno scorso mi cercavo immagini per descrivere Detroit ed erano tutte olocausti nucleari, bombe H, alieni, quando sarebbe bastato ricordare L’Aquila vista un anno dopo il terremoto in una deviazione tra Teramo, Tivoli e una via dalle parti di Castro Pretorio.
C’è qualche impalcatura in meno oggi, e ci sono un paio di bar aperti in più lungo il corso che porta al Duomo. Su un balcone sono rimasti cinque vasi e uno sgabello, un fermo immagine che ti porta indietro di cinque anni secchi. Non ci sono le divise dell’Esercito, le ricorda una scritta su un telo bianco all’ingresso della Zona Rossa, “mi mancano i militari”, dice. E non c’è più l’atmosfera di tragedia, la sensazione di dolore e compassione, ci sono lo stesso silenzio polveroso, lo stesso tintinnare di ganci che sbattono sui ponteggi, lo stesso clic delle macchine fotografiche e dei telefoni che portano a casa il che-disastro-che-tristezza di foto che nessuno guarda, solo depurato dalla sensazione di imbarazzo e vergogna che si ha nel ritrarre la sventura altrui. Le macerie, quando sono fumanti, hanno ancora dentro abbastanza morte da ricordare la vita; quando si raffreddano diventano museo, e quei dieci uomini con l’elmetto giallo che girano intorno a una delle cento gru messe al posto delle antenne televisive devono esserne i guardiani, o gli uscieri.
06/08/2014
Impiego qualche minuto a realizzarlo, quel tanto che basta per allontanarmi e restare solo e chiedere un altro spritz; ma poi ci arrivo, mi rendo conto che in quel domandare come vanno le cose in ufficio in modo del tutto slegato dal simulacro di conversazione che stiamo avendo, in quel piazzare frasi nobili sull’etica e il rancore e il business-is-business c’è lo stesso sguardo allucinato dello stalker che finge di passare casualmente davanti al portone della ex e poi si ferma nel bar di fronte a sfinirsi di caffè per vedere lei con chi esce, la stessa incapacità da dodicenne ferito di stemperare rabbia e delusione fino a dimenticarle almeno per stanchezza, la stessa egocentrata inconsapevolezza del ridicolo, del grottesco. Dopo un po’ saluto, con un misto di sollievo e di inquietudine, ma forse più di quest’ultima perché trovarsi di fronte lo spettacolo del desiderio di dominio, del bisogno di vendetta, della necessità di riappropriazione e avvertire che potrebbe rivoltarsi su di te in qualunque istante, non importa quanti momenti belli o buoni avete vissuto insieme è una cosa che non fa paura, ma tristezza, e stanchezza, quelle sì.
02/08/2014
Quando sei fuori, nel mezzo della piazza o vicino a una delle vetrine dei negozi che vi si affacciano, non te ne rendi conto. E non lo realizzi nemmeno quando ci entri, nella chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo, quando apri la porta e percorri il corridoio centrale verso l’altare. Lo capisci nel momento in cui ti volti e fai per uscire. Allora vedi che chi ha costruito quella chiesa ha fatto in modo che quel corridoio sia tutt’uno con l’asse della piazza e poi con il Canal Grande e poi con l’uscita del molo, una retta che tira dritta dall’altare fino al mare aperto senza un solo ostacolo in mezzo, vedi che deve averci pensato al fatto che prima tu stai là in piazza in mezzo alla gente a lavorare a parlare a telefonare a comprare a guardare culi sodi a bere a inveire a ridere e poi stai lì, lì nel bel mezzo di quel corridoio, tra i banchi di legno, che guardi il posto dove stavi, lo guardi da fuori e finalmente riesci a vedere, vedere i movimenti, le persone che si allontanano dando le spalle senza una parola e senza un motivo, le persone che si avvicinano con uno sguardo interrogativo, le traiettorie, le barche, le onde, il teatro, il ponte e tutto quanto, ci ha pensato di sicuro che per poter stare in piazza devi poterne uscire e osservarla come una cartolina, per stare dentro le cose devi potertene tirare fuori e guardarle, ché solo così riesci a capire, e a vedere più in là, in mare, oltre quel molo, che se si chiama Audace un motivo ci sarà.
Piazza Sant’Antonio Nuovo, Trieste
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