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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    29/05/2014

    La consunzione delle cose

    Filed under: — JE6 @ 07:50

    La ruspa si muove lungo la spiaggia, spostando e spianando sabbia. La stagione turistica, quella vera, non è ancora iniziata e la città si prepara. Si dipingono pareti, si potano siepi, si lucidano ottoni, si cambiano tappeti. Eccoli i segni dell’invincibile forza della consunzione delle cose – un angolo di muro sbrecciato, una cassetta della posta che chiude male, un frigorifero che non si accende più, tutto nascosto in bella vista sotto gli occhi, mentre passeggi sul lungo mare vedi solo le bandiere che sventolano e i riflessi sull’acqua, poi quando ti fermi a bere un caffè e stai lì con la tazzina in mano e c’è un secondo di sospensione eccoli che li vedi quei segni, li vedi tutti, li vedi nitidi come se non ci fosse altro da poter guardare. E’ in quel momento che ti rendi conto che è quella la vera fatica, non è tanto il costruire le cose ma mantenerle, l’incessante, infinito e sfinente lavorìo della manutenzione che ripara alcuni danni e tenta di evitarne altri, è in quel momento che vedi l’operaio accovacciato davanti a una tubatura con una lattina di antiruggine in mano, lo vedi perplesso mormorare eppure è sempre andato bene, bastava una passata e per un anno eravamo a posto e adesso invece guarda qui che roba, e sembra lo zio del ragazzo che sta passando sul marciapiede opposto, quello che sta rimettendo il telefono in tasca con un’aria assente e pensa una volta mi rispondevi, mi rispondevi sempre, guarda come cambiano le cose, come si consumano.

    28/05/2014

    Adesso vai

    Filed under: — JE6 @ 09:37

    Cosa prendi, Un caffè, E così, E così, Parti, Sì, tra un paio d’ore, Come ti senti, Bene, Sai che sono nove mesi, Lo so, nemmeno a farlo apposta, Ma davvero, Sono contento che stai bene, Anch’io, ma diciamo meglio, non bene, Come vuoi, Preferisco così, D’accordo, Senti, grazie di tutto, Ma no, ma cosa, grazie a te, (…), (…), Allora vado, ci sentiamo, Sì, fammi sapere, mi farebbe piacere, Contaci, Se hai bisogno sai che sono qui, Lo so, Prenditi una bottiglietta d’acqua per il viaggio, Sì, Allora buon viaggio, Grazie, Dai, adesso vai.

    26/05/2014

    “Comunque tutta st’emozione per essere diventati democristiani”

    Filed under: — JE6 @ 11:30

    Rimane il fatto che, in ogni modo, capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.

    Philip Roth, commentando le elezioni di ieri.

    [Il titolo è la (cit.) di un’amica mia, che poi insomma dalle torto. Ma oggi va benissimo non averci capito un cazzo, e sentire tutti i gne gne – motivatissimi. Va bene così]

    22/05/2014

    Vous etes ici

    Filed under: — JE6 @ 16:45

    Dice che basta rispondere a una ventina di domande per capire qual è il tuo posto nel planetario delle elezioni – che poi a me verrebbe da chiederglielo, ma chi è che sta fermo e chi è che si muove, sono io l’elettore che mi avvicino ai partiti saltando come nel gioco dei quattro cantoni o è il partito che si sposta venendo a cercarmi, non è che poi ci muoviamo tutti e nella terrificante entropia che andiamo a creare non riusciamo a incontrarci oppure ci accoppiamo con quelli sbagliati come un blind date andato male.
    Comunque.
    Dice che basta rispondere, e allora dai. Tu fai la domanda, io rispondo. Ma è come tutte le volte, tutte le altre volte, il problema non sono io che posso scegliere le cento gradazioni della mia vicinanza da estremamente contrario a estremamente favorevole, il problema sei tu con le tue domande insensate, vuoi diminuire le tasse alle famiglie numerose – ti pare che dico di no, ma numerose quanto, sei favorevole al salario minimo per i giovani – eh beh, tu dimmi quant’è ‘sto salario e poi ci ragioniamo sopra, sei favorevole alla privatizzazione delle aziende di stato – senti, ma vendere il quaranta per cento significa privatizzare o no secondo te.
    Dice che basta rispondere. Ho risposto, guardo la mia posizione: vous etes ici. Poi chissà dove sei tu, e chissà dove sarei stato io se solo mi avessi chiesto per davvero.

    21/05/2014

    Più reale di noi

    Filed under: — JE6 @ 16:40

    Quando l’ho conosciuto faceva l’ingegnere informatico, qualunque cosa questo significasse all’epoca. Lavora con i computer, avrebbe detto mia mamma. Aveva studiato per quello, aveva trovato un impiego per quello. Adesso sono qui che lo guardo prendere misure con un laser, calcolare aree, parlare di guaine e masselli, muoversi sicuro in quello che diventerà un cantiere – microscopico rispetto a quelli che apre da ormai una quindicina d’anni. In mezzo ci sono state tante cose, un matrimonio, due figli, un’azienda di famiglia, una motocicletta e, in gente come me, gente del terziario che è avanzato, la sensazione di aver a che fare con qualcuno che nelle mani e nel lavoro anche manuale ha trovato qualcosa che va al di là di una somma accreditata su un conto corrente o di una bella vacanza all inclusive, e con quella sensazione una specie di stranita invidia per qualcosa, per qualcuno che sembra più reale di noi.

    17/05/2014

    Un giorno

    Filed under: — JE6 @ 17:41

     “Dicono che io sono Hitler. Ma io non sono Hitler…sono oltre Hitler!” (…) “Se non ci fosse il M5s adesso ci sarebbero i nazisti. Il nostro populismo è la più alta espressione della politica”.

    Un giorno, non lontano, qualcuno verrà a chiedere conto a noi di tutto questo, noi che ci preparavamo a uscire a cena con gli amici, leggevamo distratti, scuotendo un po’ la testa, scrivevamo due righe di chetempisignoramia.

    16/05/2014

    Tempo perso

    Filed under: — JE6 @ 21:01

    L’abbiamo visto tutti un film nel quale, per impedire la diffusione di una notizia, per nasconderla agli occhi di qualcuno c’è un signore che inizia un affannoso giro delle edicole della città, mi dia tutte le copie che ha di tutti i quotidiani che vende, ehi lei, sì, lei, il giornale che ha appena comprato glielo prendo io, al doppio del prezzo. A volte quel signore ha successo, a volte no. Di solito no perché i buchi nella diga sono sempre almeno undici, e le dita delle mani rimangono dieci. E’ così anche nel tempo di Internet, figuriamoci: e moltiplicato alla miliardesima potenza. Don Quixote, i mulini a vento, quelle cose lì. Ma il tempo speso a cercare di tappare quei buchi, a comprare tutte le copie del quotidiano in ogni edicola della città non è tempo sbagliato come pensa qualcuno (e prendo Massimo Mantellini come semplice esempio): no, è tempo perso. Che è una cosa diversa, che non implica un errore. Ma se investissimo il nostro tempo solo nel fare cose presunte utili, beh, la nostra sarebbe una vita ben più grama di quella che è.

    15/05/2014

    Io ci sono

    Filed under: — JE6 @ 13:46

    La mail arriva dall’altra parte del mondo: rientro giovedì mattina, se potete troviamoci giovedì sera per una birra, spero di vedervi. Sarà quel verbo, “spero”, che ha dentro una specie di urgenza, non so. So che ci vuole poco, giusto qualche minuto – e poi io ci sono, io ci sono, anch’io, non so a che ora ma aspettatemi, ed è rileggendo un normalissimo susseguirsi di risposte che hai la sensazione che arriva un momento nella vita nel quale non dici di sì perché hai bisogno o voglia di uscire di casa, ma perché vuoi che certe cose restino insieme, non si rompano nei cento piccoli pezzi del sono stanco ho un altro impegno vedo se ce la faccio, non si sfarinino nella polvere della consunzione delle cose, e delle persone.

    11/05/2014

    La gomma

    Filed under: — JE6 @ 17:00

    Io cancello ricordi. Non lo faccio di mestiere, ogni tanto un amico, o un’amica di un amico arriva, bussa alla porta, si siede, io gli offro un caffè e così inizia tutto. Ogni volta. Non mi faccio pagare, non chiedo niente. Ho il mio lavoro, quello mi basta. Perché lo faccio? Perché c’era uno che diceva che la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda. E allora perché non provare a passare una gomma su quella riga di matita? Come faccio, come succede: non lo so. A quel caffè ne segue sempre un altro, e un altro ancora. Io sto lì, ascolto. Mi faccio ripetere le cose cento volte, ma dov’eri seduta, cosa vedevi, che parole ti ha detto. E poi ancora, ma dov’eri seduta, cosa vedevi, che parole ti ha detto. E poi ancora. Perché è come quando parli, se una parola la dici dieci volte di fila, e poi venti, e poi cinquanta, e poi cento, alla fine quella parola non significa più niente, diventa solo un suono, uno come tanti altri, e in mezzo a tanti altri scompare. Certo, la gomma non può sempre essere precisa. Cancelli la riga, ma ti capita di sbavare e togliere qualcosa che stava vicino, e che magari avresti voluto tenere. Qualche volta succede, l’amico o l’amica dell’amico ripassa, magari per una birra e non più per il caffè e quando arriva a metà della bottiglia guarda verso la finestra e mi dice sai che, e io rispondo dimmi, e lui, e lei continua, sempre senza guardarmi perché da una parte mi è riconoscente e non vuole che io pensi madonna che ingratitudine, e mi parla di una persona alla quale un tempo teneva, non lo sento più, non la chiamo più, e perché gli chiedo io e allora si gira, a quel punto mi guarda con un’espressione smarrita, vorrebbe dirmi ma se non lo sai tu come faccio a saperlo io ma non lo fa, riprende la bottiglia e se la finisce, io mi alzo, questa volta la finestra la guardo io, e la risposta non la so, perché chi lo sa chi per davvero ha passato la gomma e non ha avuto la mano ferma, o ha passato la gomma, si è fermato per un momento e poi ha pensato che una riga non era sufficiente, che è meglio abbondare e se ci va di mezzo un innocente ce ne faremo tutti una ragione, ma anch’io sto zitto, torno al tavolo, prendo la mia bottiglia e la finisco in silenzio.

    06/05/2014

    Goodbye Luis

    Filed under: — JE6 @ 14:12

    Leggo quelle poche parole sul telefono, e poi le rileggo ancora. E’ morto il papà di P, dicono. P era il mio migliore amico, lo è stato per tanti anni. Abbiamo passato insieme una delle più belle estati della nostra vita, quella sui treni dell’InterRail. Suo papà mi ha visto crescere, l’ho incontrato praticamente ogni giorno per non so nemmeno più quanti anni di fila, è la persona che mi ha regalato la sera nella quale ho più riso in tutta la mia vita, e l’uomo che mi ha venduto la mia prima e unica stecca da biliardo. Il papà di P si chiamava Luigi, ma lo chiamavano tutti el Luis. Le sia lieve la terra, Luis.