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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    28/01/2015

    “Sì, capisco”

    Filed under: — JE6 @ 10:21

    Ieri pensavo che sono stato tre volte a Dachau, ho visto Mauthausen, ho letto e riletto Levi, e la Arendt che racconta il processo di Eichmann, ho visto il museo dell’Olocausto di Budapest e il Binario 21 di Milano, ma alla fine forse quello che più mi ha toccato e segnato del tentativo di sapere e capire di più di quel che successe in quei campi, e perché, è stata la frase di un sopravvissuto di Auschwitz, si chiamava Teo Ducci, che una sera ebbi la fortuna di riaccompagnare a casa, eravamo all’altezza della curva di Piazzale Amendola andando verso Piazza Giulio Cesare, non ricordo bene quale fu la mia domanda ma rispondendo lui abbassò la voce e disse “ci sono delle cose successe lì dentro che nemmeno noi possiamo dire” e non credo di aver mai sentito tanto dolore e vuoto e vergogna e desolazione concentrati in un unico, brevissimo e interminabile sospiro, e poi ricordo solo che mormorai “sì, capisco”, ma non era vero, non potevo capire, e non posso nemmeno adesso, e non può nessuno.

    26/01/2015

    Pane al pane

    Filed under: — JE6 @ 16:09

    Ci dev’essere stato un momento in cui qualcuno ha deciso che dire le cose come stanno, che chiamare la gente col loro nome non era solo giusto, ma consigliabile e doveroso, una specie di obbligo morale, di forma di rispetto e di omaggio della verità. Ci dev’essere stato un momento in cui qualcuno si è messo a pensare che Tucidide avrebbe dovuto far pronunciare agli Ateniesi che scuotono la testa di fronte ai Melii non la sublime battuta “mentre ci rallegriamo per la vostra ingenuità, non vi invidiamo la follia”, ma qualcosa di più terra terra, di più pane al pane, qualcosa come “Dio, quanto siete stronzi”. Ci dev’essere stato un momento così, che avrebbe poi portato un pubblico ministero a definire un imputato, in un’aula di tribunale, un incauto idiota, un momento nel quale avremmo pensato bene di buttare a mare qualche migliaio di anni di diplomazia e educazione e buone maniere, quelle che fanno dire le cose più dure e gli insulti più sanguinosi senza perdere né il rispetto per gli altri né – soprattutto – quello per se stessi, pensando che così saremmo stati più umani, più veri.

    24/01/2015

    Il passato è in bianco e nero

    Filed under: — JE6 @ 21:40

    Camminano a passo lento, scambiando poche parole. Quella era la mia scuola, dice lei, lui segue la direzione della voce e sposta gli occhi, Elementari?, Elementari e medie, Eri brava a scuola? Nella media, non ero la più brava della classe ma me la cavavo. Lui fa un piccolo scarto, di quelli che vengono quando non conosci i posti nei quali ti trovi e cammini spostando lo sguardo, la tocca col gomito, Scusa, lei non risponde e lui per una frazione di secondo allunga la mano come se la volesse prendere sotto braccio, poi si ferma e la rimette nella tasca dei jeans. Così questa è casa tua, non sembra nemmeno di stare in città, dice lui, Un po’ è vero, è una zona tranquilla, Ci sono ancora i negozi, Sì, quando ho tempo mi fermo qui a fare la spesa, li conosco tutti da quando ero piccola. Entrano in un piccolo parco giochi, quattro o cinque panchine, uno scivolo, una giostra, due cavallini appoggiati su molle che hanno visto tempi migliori. Tu ti ricordi quando eri bambino? Qualcosa sì, anche se non molto, Anch’io non ricordo tanto, così ogni tanto mi fermo e provo a farlo, a tornare indietro, E ci riesci? A volte, a volte no e allora faccio questo, si abbassa lentamente piegando le ginocchia fino a rannicchiarsi vicino all’erba stinta del parchetto, Questo cosa, chiede lui, Questo, abbassarmi, Non ti seguo, Se scendi di un metro vedi le cose come le vedono i bambini, come le vedevamo io e te quando avevamo sette anni, prova, e anche lui si abbassa, piega le ginocchia, si guarda intorno, Hai ragione, si guarda intorno e vede i muri delle case di un colore che non sa definire e sente i suoni lontani di un traffico che non è il suo e di un accento che non è il suo e poi chiude gli occhi e trattiene il respiro, Cosa fai? Cerco di immaginare tutto questo in bianco e nero, E perché? Non so, il passato è in bianco e nero, Non sempre, Non sempre, è vero, E cosa vedi adesso, Ho gli occhi chiusi, Lo so, ma so che stai vedendo qualcosa, ti conosco, Sto cercando di vedere te qui in questo parco quando ti fermavi con le tue amiche tornando da scuola, E com’ero secondo te, Non riesco a capirlo, ma bella come oggi, Sei proprio scemo, Ti stavo aspettando, ma secondo me è proprio così e avrei voluto essere qui a guardarti, Non mi avresti nemmeno vista, E’ quello che pensavi e invece sono qui, Sì, E adesso andiamo, accompagnami a prendere il taxi.

    16/01/2015

    Buoni motivi

    Filed under: — JE6 @ 18:17

    Oh, magari mi sbaglio. O, invece, magari avete avuto anche voi la stessa mia impressione, e cioè che dei morti di Parigi quelli sotto i riflettori, quelli che ci ricordiamo e ci ricorderemo sono i giornalisti e i vignettisti e il direttore di jesuischarlie (e forse il poliziotto ucciso in strada, perché hai voglia a guardare The Wire e Die Hard, c’è sempre un giorno in cui è la realtà a superare la finzione). E’ come se questi fossero morti per un buon motivo, un motivo nobile – la libertà di espressione, l’Illuminismo, liberté egalité fraternité – e quegli altri, quelli del supermercato, solo per la sfiga di essere al posto sbagliato nel momento sbagliato, perché poi non è che Coulibaly è andato a guardare se i maschi erano circoncisi. Che poi forse è un po’ anche così, ma in fondo io penso che quella gente sia morta tutta per lo stesso motivo, non perché facevano paura ma perché erano odiati e davano fastidio per il solo fatto di esserci e di stare al mondo da infedeli: e, in un certo senso, quasi spero che sia così, spero che quelle morti abbiano tutte lo stesso valore, e tutte lo stesso senso e la stessa insensatezza, e la stessa dignità.

    15/01/2015

    A shallow meaningless party

    Filed under: — JE6 @ 14:51

    E come quando si ripete una parola cento volte di fila fino a farla diventare una semplice sequenza di suoni senza significato, questa superficiale e insensata festa della cosiddetta libertà di espressione a base di io-sono durerà fino al giorno vicino in cui ci guarderemo in faccia con l’espressione del cinghiale che fissa gli abbaglianti e di fronte all’ennesimo hashtag balbetteremo un bavoso “eh?”.

    13/01/2015

    L’anno della marmotta

    Filed under: — JE6 @ 13:55

    L’altro giorno ho scoperto questa cosa, che ogni tot anni il calendario si ripete identico: il 13 gennaio è un martedì, il 23 febbraio un lunedì, Ferragosto cade di sabato e così via. Allora ho capito perchè vendevano delle Moleskine intonse vecchie di sei anni e lì per lì mi è pure sembrata una bella idea tornare in quel negozio per comprarne una o due, poi ho pensato alla sensazione di essere dentro giorno per giorno a un intero anno del passato e però boh, e se è stato un anno buono non lo puoi rivivere davvero, e se è stato un anno brutto lo ricordi ogni momento, e se è stato un anno così e così allora perché a che serve e così niente, non so, forse mi piacerebbe avere un’agenda del 2026 o del 2037 e scriverci dentro e prendermi degli appuntamenti, degli impegni, così, per vedere se funziona, e l’effetto che fa.

    09/01/2015

    In nome della legge

    Filed under: — JE6 @ 08:55

    L’ho guardata quattro o cinque volte, l’intervista di due anni fa che Giovanna Pancheri di Sky fece al direttore di Charlie Hebdo. Un po’ perché rimanevo ipnotizzato guardandolo, sembrava che fosse appena uscito dal liceo e invece aveva quarantacinque anni, un po’ perché diceva questa cosa vera e fastidiosa, non mi interessa il rispetto, che è una cosa soggettiva, i limiti me li dà la legge francese. E alla fine nel mio piccolo penso che stia tutto lì, in una cosa che dimentichiamo costantemente, una cosa che si chiama legge e che nelle nostre società – pur con tutti i suoi limiti e imperfezioni – non è soltanto un insieme di vincoli, di limiti, di legacci, di non-si-può-fare-questo-e-quest’altro, ma è il punto di incontro (e di compromesso) fra tutti noi, quello che dobbiamo accettare e quello che vogliamo che venga accettato. La legge è umana e quindi, appunto, imperfetta: e infatti passiamo molto tempo a discutere di come modificarla, cambiarla, sostituirla. Ma c’è, in ogni momento. In ogni momento la legge siamo noi: io, tu, voi, loro, senza distinzioni. Domani la legge sarà un po’ diversa, sarà altro perché noi cambiamo. Ma intanto c’è, con un valore infinitamente più grande di quello micidialmente povero che gli attribuiamo normalmente. Questo non impedisce a qualcuno di prendere un AK-47 e ammazzare dozzine di persone, ma ricordarcelo dovrebbe servire a tutti gli altri – vogliamo dirlo? a noi -, per non farci perdere tempo, e energie, e farci concentrare sulle cose importanti, quelle che dicono chi siamo, e come stiamo al mondo.

    08/01/2015

    Allora è così

    Filed under: — JE6 @ 08:26

    Allora è così che si spara in testa a un uomo. Per davvero. Come hanno fatto a Columbine e a Baghdad e a Palermo – perché al cinema non vale, lo sappiamo che quello è pomodoro. Allora funziona così. Guarda quanto è facile.

    06/01/2015

    Abiti e matite

    Filed under: — JE6 @ 19:30

    Il giorno prima è quello dei piccoli preparativi: una spazzolata alle scarpe, il riordino della borsa, la punta a un paio di matite, i piccoli dettagli che fanno l’abito che poi farà il monaco con l’idea consapevolmente illusoria che se tutto è al suo posto allora tutto è sotto controllo e niente potrà andare storto. Nel giorno prima ci stanno anche le cose importanti che non hanno a che fare con le otto del mattino del giorno dopo, una camminata fino al cimitero, sembra ieri e sono già cinque anni, il ritorno verso casa, un bicchiere di prosecco al circolo, quattro chiacchiere con la sensazione di essere una maglia di una rete più grande, quella che ti tiene su anche quando non te ne accorgi; e dopo è già l’ora, un’ultima occhiata prima di un film, la scrivania in ordine, gli appunti allineati, quella strana sensazione di inutilità necessaria che provi mentre guardi la macchina appena uscita dal lavaggio e sai che basteranno poche ore per sporcarla di nuovo, e una specie di paura che ci sia del buono pure nelle cose che devi, anche se non vuoi, fare.