|
|
29/07/2014
Quando entriamo in chiesa e prendiamo posto nei banchi e ci guardiamo intorno, in quel momento proviamo la sensazione che sebbene abbiamo girato il mondo e visto posti e fatto cose e conosciuto persone che i nostri nonni mai avrebbero immaginato alla fine siamo nati e cresciuti e vissuti in un paese racchiuso dentro la metropoli, e a quel paese torniamo quando possiamo. Così intorno a quella bara ci siamo noi – e chi se no, gli amici di una vita – ma ci sono anche quelli che quella donna la conoscevano solo di vista ma era la mamma di un amico di mia figlia, ci incrociavamo quando portavamo i bambini a scuola quarant’anni fa, era sempre sorridente anche se ci scambiavamo solo il buongiorno e buonasera. E così intorno a quella bara ci sono il groppo in gola di chi ha perso una persona cara e l’acido in bocca di molti altri che hanno perso un microscopico pezzo di se stessi, che sono tornati al paese e qui c’era una fontana e adesso non c’è più e qui c’era il lattaio e adesso un parrucchiere, perché il dolore degli altri è tanto spesso pure il nostro, anche se per motivi diversi.
27/07/2014
Scusa, mi scrive, pensavo di parlartene in ufficio ma sei stato via per dei giorni allora lo faccio così e mi racconta della città dove si trova, di quello che sta facendo, poi ne parliamo a voce ma intanto. Quando arrivo in fondo alla mail penso che a volte sembra una fesseria da nulla prendere un minuto per dire ho fatto questo e quell’altro, per scrivere sai che e metterci dentro il racconto di un altro minuto che hai vissuto mezza giornata prima o che vivrai una settimana dopo o di un pensiero che ti ha attraversato la testa mentre passavi un incrocio, sembra una fesseria da nulla ma non lo è, te ne accorgi dopo, quando qualcuno si prende quel minuto per te, sceglie di farlo e non aspetta per mesi o per sempre e allora ti pare che avere a che fare con la gente abbia un senso, anche quando parli di cose che un senso speciale non ce l’hanno.
26/07/2014
Io non so come andrà a finire tutta questa manfrina delle riforme. Non posso nemmeno dire che mi interessi più di tanto, che l’ingegneria istituzionale e costituzionale mi appassioni più di una replica doppiata di The Wire. Mi interessano di più il metodo, e le facce – soprattutto di quelli che con varii gradi comandano il partito che ho votato, quelli che dicono che io gli ho dato il mandato di fare le cose che stanno facendo nel modo in cui lo stanno facendo (le cose che si scoprono, santocielo). Hanno le facce, tutti, che mi immagino avessero gli ambasciatori ateniesi quando misero piede nell’isola di Melo, si sedettero di fronte agli ambasciatori avversari e gli dissero, serrando tranquillamente la mascella, La nostra proposta è che si faccia quanto è realmente possibile sulla base dei veri intendimenti di entrambi: consapevoli gli uni e gli altri del fatto che la valutazione fondata sul diritto si pratica, nel ragionare umano, solo quando si è su di una base di parità, mentre, se vi è disparità di forze, i più forti esigono quanto è possibile; ed i più deboli approvano.
Ah, com’è finita quella guerra – non quella battaglia: quella guerra -, ecco, dipende dai punti di vista.
24/07/2014
Poi, sarà lo spirito dei tempi, ma tutto questo entusiasmo, questo orgoglio per una rottamazione, ecco.
20/07/2014
E finalmente è arrivata, l’assoluzione. Finalmente mica per loro, ma per noi. Noi, i sinceri democratici, quelli che bisogna batterlo con la politica, quelli che il problema è un altro, quelli che il bene e il male e il buono e il cattivo mica si giudicano col diritto penale, quelli che ma guarda ma cosa vuoi che m’interessi; noi, quelli che fra vent’anni lo rimpiangeranno, con lo stesso tenero, nostalgico languore con il quale oggi sospirano al pensiero di Bettino Craxi.
19/07/2014
Guardo il computer di bordo, uno dei due contachilometri parziali. Quello che non azzero quasi mai si è fermato, il costrutture lo ha impostato per quattro cifre e così sta lì, a 9999. Velocità media 47, dice. Passo un po’ di tempo sull’autostrada a fare calcoli a mente, cinque mesi dall’ultimo reset, diecimila diviso quarantasette, sono più di duecento ore, sono più di otto giorni passati seduto qui sopra – Oh ciao come va, Bene e tu, Tutto bene grazie, e cosa fai di bello, Mah, guido.
17/07/2014
Tutti a dire che il romanzo è morto, ma il fatto è che abbiamo bisogno che qualcuno ci romanzi la realtà perché altrimenti com’è che si tira avanti, non importa quanto sesquipedale sia la fesseria che hai ascoltato, basta che sia detta bene, basta che suoni bene, sufficientemente epica, sufficientemente sofferta, sufficientemente madonna-davvero-quanto-ha-ragione, così non stai a pensarci più di tanto quando leggi “vincere consuma psicologicamente” o qualcosa di simile perché in fondo tu che ne sai, sei mai stato a prenderti insulti e applausi da ottantamila persone in territorio franco, no, e allora, allora cosa ti costa crederci.
07/07/2014
Io non è che ami più di tanto usare lo sport come metafora della vita, un po’ perché è troppo facile e un po’ perché è troppo difficile. E però a volte sembra quasi inevitabile. Della finale di Wimbledon di ieri ho visto poco, perché più passa il tempo e meno riesco a seguire le cose in diretta se c’è gente che mi interessa, per la quale faccio il tifo o provo simpatia, o rispetto, o affetto, o cose così. Ma in quel che vedevo c’era una cosa ben precisa, che non era gioventù contro vecchiaia, né arte contro forza. C’era l’essere in tempo, l’arrivare in tempo. Perché la vita spesso è quella roba lì, arrivare un momento dopo, cinque minuti prima, capire le cose troppo tardi, intuirle troppo presto (*). A volte sembra proprio una questione di tempo, di tempi, e nient’altro. E guardando l’immenso e amatissimo Roger Federer perdere di un nulla, di un respiro una finale che avrebbe meritato di vincere quanto il (quasi) altrettanto immenso Novak Djokovic che poi alla fine la coppa l’ha alzata per davvero mi è tornata in mente la frase fulminante di Shane Battier, un tipo dall’intelligenza persino superiore allo spaventoso talento datogli dai suoi genitori, uno che, con la lucidità di un filosofo greco o di una rock star, sa che “it’s better be timely than good“.
(*) Alessandro Baricco, più o meno, in una delle Palladium Lectures.
03/07/2014
Sai quella cosa di prima della tempesta, la quiete, domani prevedono brutto anche se ci sarà il sole e allora ci vogliono quattro passi in riva al fiume, e lungo le vie acciottolate a guardare col naso all’insù questi strani ombrellini di carta che pendono insieme alle scarpe vecchie appese come ad Harlem, a bere una birra in mezzo ai ragazzi con gli zaini e alle donne dalle gambe lunghissime, ad ascoltare il trio blues che si mischia col quintetto gitano, a fissare il marmo splendente del municipio, a girare gli angoli di un posto che conosci quasi come casa tua, a fermarsi sul ponte, quello lì, quello da dove si vede la luce porpora. Te la ricordi Ljubljana, sì? Come se fosse venerdì sera, come se fosse estate.
|
|
|