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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    30/11/2013

    Stories of the Bund – Judy

    Filed under: — JE6 @ 15:56

    Judy ha l’età indefinibile dei cinesi, una cosa qualsiasi tra i venti e i trent’anni. Ha un negozio al Fake Market, vende borse borsette e portafogli; il negozio porta il suo nome – cioè quello che lei si è scelta per farsi ricordare dagli occidentali che a migliaia passano qui dentro ogni giorno – e quello della sua ex socia, che a febbraio è partita per andare a trovare la famiglia e non è più tornata, senza una spiegazione né un motivo, né una telefonata di ritorno. Se cerchi un orologio Judy ti porta da suo fratello, che tiene un altro negozio a pochi metri di distanza; e se cerchi delle scarpe Judy ci pensa su qualche secondo, poi ti dice vieni con me e manca solo che ti prenda per mano, e ti porta da un’amica, un cugino, un membro della rete di parenti veri e no che il suo inglese incerto ti descrive senza entrare nei dettagli. Ti fa entrare nel retro del negozio, ti mostra uno sgabello, ti invita a sederti e ti offre una bottiglietta d’acqua – sempre rigorosamente nuova, così che si possa sentire il clic della plastica che si rompe quando giri il tappo e tu sia tranquillo – ti chiede come va il lavoro, quando riparti, quando ritorni a Shanghai. Sembra interessata a saperne di più della vita dei suoi clienti, anche se fa mai passare più di tre minuti dall’ultima volta che ti ha chiesto do you want some more bags my friend prima di richiedertelo. Tu comunque rispondi, fai quattro chiacchiere, le chiedi come va il suo di lavoro, se vende abbastanza, lei alza appena le spalle e dice così così, sono un po’ stanca, ieri sera ho fatto le tre per portare qui il nuovo carico di merce, stanotte sarà lo stesso. Ma cosa fai quando finisci qui, le chiedi, o quando hai un giorno libero – lei ti guarda senza espressione e dice non faccio niente, inizio alle nove della mattina, finisco alle nove di sera, metto a posto, pulisco, esco alle dieci, vado a casa, mangio, dormo. Sette giorni su sette da quando la ex socia una mattina non si è presentata al terzo piano del palazzo di West Nanjing, ma questo Judy non lo dice, non si lamenta, rispetto a centinaia di milioni di suoi connazionali probabilmente è una privilegiata anche se vive rinchiusa in questo posto senza finestre e aria fresca ogni giorno della sua gioventù. Quando ti saluta dice see you soon anche se sa benissimo che il soon potrebbe essere mai più, poi ha un microscopico scatto, una specie di velocissima scintilla negli occhi – sure you don’t want a bag?

    28/11/2013

    Stories of the Bund – In fila per sei

    Filed under: — JE6 @ 16:32

    Sono una dozzina, disposti su due file lungo un marciapiede di Fuzhou Road. Ragazzi e ragazze, sulla ventina. Alcuni indossano una specie di divisa, altri sono vestiti normalmente – una felpa, i jeans. Sul secondo dei tre scalini che portano ai negozi della via stanno altri due ragazzi, che invece di venti avranno venticinque anni lui e ventiquattro lei, e sono chiaramente i capi di quelli che stanno due gradini più in basso: come dire, a metafore non ci facciamo mancare nulla. Ci fermiamo a guardarli, sono dei commessi e sembrano un plotone di soldati, i due capi parlano a voce alta mentre i passanti scorrono senza degnarli di un’occhiata, a un certo punto lui aumenta il volume di un paio di tacche e i soldati sul marciapiede rispondono all’unisono, gridano una frase in coro come fanno i giocatori di basket o di pallavolo prima di iniziare la partita o alla fine di un time-out. I due capi li guardano soddisfatti, sorridono, fanno un cenno con la testa, voltano le spalle alla truppa e entrano nel negozio, mentre i commessi-soldati salgono gli scalini e li seguono – a la guerre comme a la guerre.

    26/11/2013

    Stories of the Bund – Tempo

    Filed under: — JE6 @ 16:29

    Saliamo sul taxi, facciamo la stessa strada – lei per tornare a casa, io per andare in albergo. Siamo stanchi, altrimenti forse questo pezzo di strada – prima Shaanxi verso sud, poi Nanjing verso est – ce lo faremmo a piedi come capitava di fare mesi fa insieme agli altri colleghi. Ci raccontiamo le cose che non abbiamo finito di dire a cena, come va le chiedo, e mi risponde non so, sono stanca, mi sa che con la Cina ho finito, è un sacco di tempo che sono qui. Faccio mentalmente i conti, so che non arriva a trent’anni, ripenso a quel “ho finito” e prima mi chiedo cos’ha che non va lei, poi mi chiedo cos’ho io che non va e alla fine, fermi al semaforo di People’s Square, mi sforzo di pensare, di convincermi che non c’è niente di sbagliato, ognuno ha i suoi momenti, i suoi periodi, i suoi piani, le sue stanchezze, e non c’è niente di male a voler staccare la spina per un po’ anche se questo ti porta lontano dal centro del mondo mentre sei ancora giovane, forse è vero che c’è un tempo per ogni cosa – se solo potessimo sapere prima quando questo verrà, o quando finirà.

    Stories of the Bund – Home sweet home

    Filed under: — JE6 @ 09:37

    E’ nel momento in cui salgo sulla metro a Pudong che mi sento a casa. O come a casa. A volte è giusto un modo di dire, a volte no. E, per me, qui non lo è. A Shanghai ho vissuto, lavorato, fatto la spesa, preso la metro, visto la neve. Quando esco alla luce delle sette del mattino alla fermata di East Nanjing riconosco il profumo della città. Mi orizzonto, in certe zone in modo grossolano – nord sud ovest est, se salgo mi avvicino, se vado a sinistra mi allontano – e in altre come se fossi nel mio quartiere a Milano – due isolati a sinistra, poi a destra, l’ufficio postale, il Family Mart – come se avessi dentro lo zoom di Google Maps. Rimango male se non trovo più il negozio dove compravo le penne a trenta centesimi, stanno sbancando tutto, chissà cosa ci metteranno dentro in quelle due vetrine. Resterei in giro tutto il giorno, tornando in Shaanxi Bei Lu e alle spalle del Wusong, e al tempo stesso mi piace camminare su Jiujiang con la borsa a tracolla per andare in ufficio. Ogni tanto penso a mia nonna, che non lasciò mai il suo piccolo paese del Goceano, e mi chiedo cosa penserebbe, se capirebbe mio cugino che un mese fa stava su un impianto in Indonesia, se capirebbe me qui, in riva allo Huangpu.

    23/11/2013

    Compagni di classe

    Filed under: — JE6 @ 09:42

    Raccontami qualcosa, dice lei. Non saprei cosa, risponde lui guardando fuori dalle vetrate, è passato così tanto tempo, ci sono state così tante cose che è come se non fosse successo nulla. Lei porta gli occhi sulle altre persone, quelle sedute sul divano, quelle dei baci, degli abbracci, dei come stai, ti trovo in forma stupenda, dove abiti, cosa fai, ti ricordi quella volta che. Sì, è vero, dice. E’ passato proprio un sacco di tempo. Non ero sicuro di venire. Nemmeno io, però sono contenta. Sul palco passa la musica di un altro secolo. Guarda che fisico la R., dice lei, è proprio rimasta uguale. Nel rumore le persone sul divano e quelle sulle poltrone alzano la voce per parlarsi, si fanno segni, è più facile raccontare di trent’anni prima che dell’altroieri, è più facile riderne perché quelli non eravamo noi, erano altre persone. Qualcuno guarda l’ora sul display del telefono, è sabato da un pezzo ormai, dove hai la macchina, in quella via, e voi, noi da questa parte, verso la rotonda, mi ha fatto piacere vederti, anche a me, qualcuno mi accompagna alla macchina, ciao ragazzi buonanotte. Ragazzi.

    21/11/2013

    Faraway so close

    Filed under: — JE6 @ 11:42

    Si sta bene, non fa tanto freddo.
    No, è vero. Quanto farà? Quattro, cinque gradi?
    Sì, più o meno. Guarda che cielo, addirittura la stellata.
    Eh.
    Ma quelle luci laggiù, cosa sono? Milano?
    Occhio e croce potrebbe essere, sì. C’è anche l’alone rosso sopra.
    Sembra molto vicina.
    Sembra anche lontanissima.
    A che ora scendi, domani?
    Verso le sette, sette e un quarto. Tu?
    Mi sa verso le sei, mi devo ancora mettere d’accordo con gli altri.
    Rientriamo, credo che stiano aprendo l’ultima bottiglia.
    Dici che non aspettano?
    Meglio non rischiare.

    17/11/2013

    Ogni cosa è illuminata

    Filed under: — JE6 @ 17:33

    Quando il pallone si stacca dall’asfalto scrostato e umido le cose devono ancora andare al loro posto. Poi la sfera sale disegnando una parabola che sembrerà perfetta, accompagnata da dieci paia di occhi sparsi su un dimenticato campo da tennis incassato in un paese di sassi in mezzo a colline di vino; quando passa davanti agli alberi che recintano il rettangolo rosso il pallone si allinea con una enorme luna piena e bianca, come in quel film di bambini e biciclette volanti, quello è il momento in cui ogni cosa si illumina, la rete verde, il cantiere a riposo, il campanile, i giubbotti appoggiati sulle panchine di pietra, e da lì le cose vanno solo come possono andare, il pallone tocca il piede e vola necessario come un sasso sull’acqua e per un secondo infinito non ci sono più clienti, mutui, Xanax, non c’è più nulla se non i dodici anni che non ho mai più avuto amici come quelli, e un lampo di perfezione che mette a posto tutto, e tutti.

    15/11/2013

    La comunità umana

    Filed under: — JE6 @ 18:38

    Cara Left Wing,
    la prima volta che sono andato negli Stati Uniti mi hanno dato una macchina a noleggio e un weekend libero.

    Su Left Wing, quella di carta, hanno pubblicato un’altra letterina che parla di case mobili, pedalò a forma di fenicottero, chiese e comunità. Inizia così, il resto lo trovate qui, e qui invece trovate il sommario del numero appena uscito (io sono di parte, ma i sei numeri annuali i loro trenta euro li valgono tutti, andate e abbonatevi numerosi).

    12/11/2013

    Una macchia rossa

    Filed under: — JE6 @ 16:23

    E’ una di quelle giornate di sole che resta basso, una macchia di luce della quale non riconosci nemmeno i dintorni spiaccicata dentro un cielo azzurro e prosciugato, all’uscita delle scale della metropolitana c’è un barbone appoggiato al corrimano e poi sono solo luci fortissime e ombre nere, la via è una foto senza dettagli, fatta di soli contrasti, le persone che ti vengono incontro ridotte a silhouettes prendono vita solo quando sono alle tue spalle ma per vederle devi girarti, un marciapiede caldo e uno freddo, e là, in fondo, una sola macchia di colore, il rosso di un semaforo.

    07/11/2013

    Idem, o quasi

    Filed under: — JE6 @ 22:03

    Non so voi, io mi sono fatto l’idea che se la Cancellieri fosse stata in quota PD ora sarebbe a casa a fare l’uncinetto.