Fare in fretta?
Sono uno di quelli che non voleva la guerra. Adesso, la guerra c’è. Cosa mi dovrei augurare, una sua rapida conclusione oppure un suo allungamento stile Vietnam? Beh, io vorrei che finisse in fretta, ma con il minor numero di morti possibile. Questo, però, presuppone che l’Iraq si arrenda, e la cosa non sembra probabile. E allora? Mi dovrei augurare che venga gettata la superbomba? Dovrei sperare che una inconcepibile quantità di missili cada su Baghdad, Bassora, Mosul e così via, causando molte altre migliaia di morti? Non lo so: c’è chi mi vuole mettere di fronte a due alternative entrambe orribili, perchè la terza non è praticabile – e non certo per colpa mia: non sono io ad aver sbagliato i piani della guerra.
31/03/2003
27/03/2003
Commenti alle note rubate
Pochi rapidi commenti al post di B.Georg sul nostro dialogo a distanza (di cui si trovano tracce qui e qui). Dapprima, il fatto che avere un’opinione e non una verità non sia un gran passo avanti nel processo di creazione e modificazione delle idee. Beh, no: nella mia ingenua testolina, il possesso di una verità coincide – per ciascuno di noi – con una trave od un muro portante della nostra vita, e come tale irrinunciabile ed indiscutibile (a meno che non sopravvengano terremoti, tsunami e cadute di meteoriti). L’opinione, in questo senso, sta sicuramente uno o due gradini sotto: è un infisso, una porta, in alcuni casi addirittura semplicemente un soprammobile che possiamo prendere e spostare, magari dietro suggerimento altrui – e provarne anche piacere. Insomma, verità ed opinioni coesistono in ciascuno di noi – per fortuna.
Mi interessa poi la riflessione su diversità e produzione di idee, dove B. dà maggiore valore a quest’ultima. A me pare che le due cose si autoalimentino: se ci sono idee diverse, le si confronta (ovvio, si deve volerlo fare) e – se non altro per ragioni di umana competitività , cioè per trovare argomentazioni che alla fine ci diano ragione – si producono nuove idee, hopefully migliori di quelle precedenti.
Da ultimo, continuo a non essere d’accordo sul fatto che un blog non sia “opinione pubblica”: lo è, eccome. E’ proprio la natura del mezzo utilizzato che lo rende tale. Non nascondiamoci dietro ad un dito: il nostro diario, qualunque sia il suo contenuto, lo potremmo tranquillamente tenere come le giovinette dell’Ottocento, vergando i nostri pensieri con una penna d’oca od una Pentel su foglietti nascosti in un cassetto della scrivania. Invece, andiamo sulla rete. Perchè sappiamo che, dall’altra parte del cavo, ci sono milioni di persone alle quali potremmo far arrivare il nostro pensiero – ed è proprio ciò che vogliamo fare. E quindi, l’espressione della nostra opinione diventa (piccola) parte dell’enorme e non facilmente controllabile processo di formazione dell’opinione pubblica. So che il discorso non finirà qui.
26/03/2003
A me, però, piacciono
Sottoscrivo parola per parola il post di Luca. Non se ne può più di essere etichettati nel modo feroce e insensato così in voga in questi tempi bui. Però, maledizione, le bandiere sono belle. Tutte, davvero (omaigod, forse non propro tutte: ad esempio, quella con la svastica…). Mi piacciono, mi piace vederle sventolare, mi piacciono come simboli, mi piace ricordarle e cercare di riconoscerle, così come faccio con le magliette delle squadre di calcio. Mai fatto caso alla felicità di un bambino che sventola la sua bandierina?
Ecco, proprio quello che volevamo
“I ritratti del rais a ruba, a molti neonati imposto il suo nome: nei Territori la popolarità del leader iracheno è al massimo – Saddam è un eroe per i palestinesi”. Qui.
E chi sono io, Babbo Natale?
Dato che George Dabliu chiede 75 miliardi di dollari per pagare i prossimi sei mesi di guerra, fra i senatori americani c’è chi pensa che debba essere messo un limite al pozzo delle spese o delle mancate entrate. E così, costringendo Mr. President ad una sconfitta politica molto rara, soprattutto in tempi di guerra, 51 senatori hanno votato un emendamento alla legge di bilancio, per ridurre i tagli alle tasse previsti per i prossimi dieci anni da 726 a 350 miliardi di dollari. “Non è buona politica proporre tagli di questo genere, quando si ha un deficit di 300 miliardi di dollari, si è in guerra e non si sa quanto questa costerà “: lo ha detto il senatore John Breaux, ma avrebbe potuto dirlo anche l’impiegato che vende i biglietti per i tram in Market Street a San Francisco.
Non si salva neanche lo Zecchino d’Oro
Se in Italia si dovessero seguire le direttive dell’autorità britannica di vigilanza sulle telecomunicazioni, “quarantaquattro gatti in fila per tre col resto di due” potrebbe richiamare l’immagine di uno squadrone di fanti in movimento verso Bagdad. E quindi, non potrebbe essere trasmessa. Cercherò di spiegarlo a mia figlia, stasera.
25/03/2003
Money, money, dinero – Parte 2
Nel post precedente, mancava il calcolo del costo di un giorno di guerra: almeno 300 milioni di dollari. Per chi conta ancora in lire, circa 550 miliardi al giorno. Buttate giù una lista di tutto ciò che una nazione grande e potente come gli Stati Uniti potrebbe fare con 300 milioni di dollari al giorno per sbarazzarsi del signor Hussein, escludendo la guerra. E cercate di stare in una pagina.
Money, money, dinero
Mr. Bush sta per battere cassa: 60 miliardi di Euro per pagare i costi diretti della guerra, includendo la ricostituzione degli arsenali al livello pre-guerra, 7,5 miliardi di Euro per la prima ricostruzione e sforzi di natura umanitaria (di cui 4,7 non destinati all’Iraq, bensì alle nazioni dell’area interessata che supportano la posizione americana: Pakistan, Israele, Giordania e Turchia), 3,8 miliardi di Euro per aumentare le difese americane contro l’accresciuta probabilità di attacchi terroristici. Insomma, quasi 72 miliardi di Euro: verranno dati quattro soldi agli iracheni (in nome della cui libertà pare che si combatta la guerra), ne saranno spesi un mare perchè gli Stati Uniti si troveranno a vivere sotto assedio o comunque con la paura di nuovi attentati, e – dulcis in fundo – verranno costruite ancora un po’ di armi di qualunque tipo. Oh, attenzione: la richiesta vale per la parte rimanente dell’anno fiscale americano, che termina il 30 settembre. Da ottobre in poi, nuova richiesta di finanziamento. Roba che Cirino Pomicino fa la figura del risanatore di bilanci pubblici.
24/03/2003
Being Michael Douglas?
E va bene, distraiamoci: quest’anno cade il ventennale della commercializzazione del primo telefono portatile, il Motorola DynaTac, amichevolmente definito “Il mattone”. Cade una lacrima di nostalgia, non tanto per questo oggetto contundente il cui fresco design era ispirato ad una scatola di scarpe (è vero, e d’altra parte basta un’occhiata per rendersene conto), quanto per i diciassette anni che avevo allora. Resta da capire cosa abbia spinto l’omino di Corriere.it che sceglie le immagini da affiancare agli articoli a scegliere il Michael Douglas di Wall Street. Perchè rovinare tutto così?