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La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

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    05/10/2010

    Due minuti e arrivo

    Filed under: — JE6 @ 16:12

    E’ che per fare l’early adopter non puoi essere pigro – e io pigro lo sono. Sono pigro, e le cose mi annoiano facilmente, prendo i libretti di istruzione e mi fermo a metà della prima pagina, non ho voglia di mettermi a smanettare se non il minimo indispensabile. Non me ne vanto, è così, e alla mia età ho rinunciato all’idea di potermi migliorare molto in questo senso. Arrivo dopo, lo smartphone figo, la tv full hd, la nuova idea di business: con me la rivoluzione russa, perché dorme dei gran sonni. Mi consola l’idea che se non ci fosse tanta gente come me mica ci sarebbero i pionieri, per l’equilibrio dell’universo servo pure io.

    10/09/2010

    Come stare in mezzo al mare

    Filed under: — JE6 @ 14:25

    Domani vado a Mantova, al Festival della Letteratura. E niente, ci vado perché Mantova è una gran bella città, e al Festival c’è tanta roba, e c’è tanta gente, ed è un bel modo per perdersi – stare in mezzo al tanto per diventare niente, sparire un po’, come stare in mezzo al mare che è tanto più grande anche di quel che riesci a immaginare.

    09/09/2010

    I giusti

    Filed under: — JE6 @ 09:02

    Da qualche giorno ho ripreso a guardare The West Wing – unendo il piacere perverso di sospirare guardando Donna Moss a una sorta di rabbiosa invidia verso un paese che non si sente troppo a disagio raffigurandosi guidato da un tipo come Jed Bartlet – e mi sono fermato a pensare che conosco un sacco di gente che stravede per questa serie, gente scafata, cinica al punto giusto, capace di leggere e interpretare testi e sottotesti, e tutta questa gente (e io con loro, che sia chiaro) non fa una piega davanti a nove protagonisti che non sono sempre buoni, ma sono sempre giusti. Che è la cosa più improbabile della vita: e per questo tutta questa gente (e io con loro) ama TWW: perché alla terra promessa non ci si arriva mai, ma non puoi toglierti la speranza che esista.

    18/08/2010

    “Allora esiste anche per me”

    Filed under: — JE6 @ 15:08

    Mi fermo in una delle due chiese ortodosse di Lefkada, guardo le icone, il legno intagliato, l’effige di una Madonna incorniciata da piccoli fiori bianchi freschi, a centinaia, rispondo al saluto del pope che chiede di dove siamo, ascolto il silenzio di questo posto mentre a pochi metri si beve caffè greco e si passeggia sul lungomare. Non so perché, mi torna in mente una chiesa di Assisi, quella di San Pietro, credo una delle poche non francescane di quel paese. Una chiesa spoglia, bellissima, di sola pietra – almeno così la ricordo, perché l’ultima volta mi sono fermato sul sagrato mentre ero al telefono con una persona che non sento davvero da troppo tempo – dove sei solo tu e quel qualcosa che sta lì dentro da sempre. Non potrebbero essere più diversi, questi due posti; eppure. Sarà che per un caso tre dei quattro libri che ho letto in questi dieci giorni parlano in qualche modo di Dio, non so. E’ un argomento troppo grosso e serio per quattro righe su un blog, è qualcosa che mi riporta a una vita lontana, a un altro me che ogni tanto riaffiora come un fiume carsico, con meno illusione e più compassione. Mi rendo conto che provo una certa invidia – non saprei come altro definirla, mischiata a nostalgia e fatica – verso coloro che sentono l’anima riempirsi per davvero quando recitano quelle poche magnifiche parole del Padre Nostro, mi rendo conto che mi fanno sorridere quelli che “io non credo” perché hanno lo stesso atteggiamento di quelli che “io credo”, rileggo le parole del grande agnostico Saramago: “è vero che non credo in Dio, ma, se Dio esiste per la persona con cui parlo, allora esiste anche per me in quella persona”. Esco, riprendo la via pedonale, guardo le due piccole campane fisse nel blu senza nuvole del cielo greco.

    15/08/2010

    Pagina dopo pagina

    Filed under: — JE6 @ 23:43

    Leggere. Leggere, rileggere, evidenziare, rileggere le sottolineature. Come se quelle parole fossero state scritte per te: anche per te. E parlassero a te. Per provare a capire. Anzi, no. A definire. Ecco, definire. Perché hai voglia dire “conosci te stesso”: sono gli altri che ti vedono meglio, tante volte. E allora adesso hai forse qualche parola in più – e certamente migliore – per definirti, spiegarti, disegnarti.

    08/08/2010

    Contenuti speciali

    Filed under: — JE6 @ 09:50

    E’ che passiamo tanto di quel tempo – per forza, per caso e a volte per scelta – a parlare del nulla che ogni tanto sentiamo il bisogno di qualcosa di più, di quei cinque o dieci minuti nei quali si condensa una giornata dandole senso o compimento.
    Solo, non sempre si può, non sempre ci si riesce, non sempre si hanno contenuti speciali da offrire o dei quali godere, e allora il pallino da verde diventa arancione, o lo sguardo vaga fuori dalla finestra senza trovare nulla da portare a galla, e si sente una strana sensazione dentro lo stomaco, come di perdita e di spreco – che poi è strano, a pensarci, è strano perché un vuoto aggiunto a un altro vuoto non dà altro che vuoto, insomma  business as usual, ma domani è un altro giorno e andrà tutto bene.

    04/08/2010

    Diapason

    Filed under: — JE6 @ 08:37

    E’ l’ultima settimana di lavoro. Quasi nulla di quello che sto facendo si conclude, sono tutte cose che dovranno essere riprese in mano fra due o tre settimane. In mezzo ci stanno le vacanze, e ci sta buona parte di agosto. E’ una cosa che soffro, questa sensazione di sospensione forzata, questo dover entrare nella corsia dei box, rallentare, cambiare gomme, fare rifornimento e aspettare che qualcuno alzi il lollipop per poter ripartire.
    Ogni tanto ci penso, e mi rendo conto che c’è un grosso inganno. Quello che ci fa pensare che stare fermi sia male. Quello che ci fa stare in perenne movimento, perché se tutti si muovono devo farlo anch’io – lavoro, amore, tempo libero. E così finiamo per essere come il diapason, che lo tocchi e si muove e si muove e si muove così velocemente che sembra immobile, e non si sposta mai, e rimane sempre nello stesso posto – noi e la nostra paura di restare fermi, quando restare fermi per tutto il tempo che serve è l’unico modo che abbiamo per poterci muovere davvero, per ripartire.

    01/08/2010

    Talk to me

    Filed under: — JE6 @ 10:44

    Io ammiro le persone che sanno ascoltare. Quelle che ascoltano, proprio. Non so dire se le invidio: non credo. Ma le ammiro molto. Sono quelle che stanno in silenzio. Sono quelle che incassano. Sono quelle che trovano nelle parole degli altri, quelle che gli altri gli riversano nelle orecchie e sulla pelle, anche dei gran pezzi di sé stesse: ma non li possono raccontare, perché già altri lo stanno facendo. Sono quelle che tacciono, per forza e per scelta. Sono quelle che a un certo punto devono dire qualcosa, sapendo che quel qualcosa molto probabilmente non verrà nemmeno sentito, altro che ascoltato. Sono quelle che proteggono, rimanendo esposte a ogni intemperia, a ogni perturbazione. Sono quelle che ognuno vorrebbe averne una. Sono quelle che nessuno vorrebbe essere.

    24/07/2010

    Casual conversations

    Filed under: — JE6 @ 11:28



    Dimmi.
    Sì.

    No, niente.
    Adesso ti riconosco.

    20/07/2010

    Di bombe, spari, paure e ricordi

    Filed under: — JE6 @ 11:39

    Sono passati molti anni, o forse pochissimi. Non so. Ogni volta ripubblico questa cosa che ho scritto nel 2003. Non per polemica, non ne ho voglia. Solo per ricordare, per ricordarmi che non c’è mai un solo punto di vista, e che la Storia è fatta di storie.

    Io non ero a Genova, per il G8. Quel weekend l’ho passato tra autostrade ed aeroporti. Ciò che so e che non so dipende dai mass media, quelli “mainstream”, quelli della cui correttezza tanti dubitano.
    Non ho voglia – non sono proprio dell’umore giusto, di questi tempi – di rivangare, di analizzare i pestaggi nelle scuole e gli assalti dei black bloc, i limoni finti del Cavalier Silvio Banana e le zone rosse.
    Però, c’è chi lo fa per me. E mi tira fuori ricordi, ed i ricordi – come i sogni – non li puoi controllare: vengono a galla, e ti entrano nello stomaco senza chiedere il permesso.
    Mio padre era carabiniere. Lo è ancora, a dire il vero, perchè i carabinieri rimangono tali a vita, e papà è in buona salute, grazie a Dio. Mio padre era carabiniere anche nel Sessantotto, e lo è stato anche in tutti gli anni a seguire. A Milano, un posticino tranquillo, come molti di voi sanno.
    Io non so cosa ricordate di quegli anni. Io ero piccolo, ed i miei ricordi sono nitidi nelle sensazioni e confusi nei dettagli. Ma ricordo che mio padre usciva di casa prima dell’alba, e rientrava a notte fonda, e passava giorni interi a fare un servizio chiamato “di ordine pubblico”: in altre parole, decine di ore seduto su un camion, a presidiare piazze e viali nelle quali scorrevano le manifestazioni di quei giorni di cui io so solo per aver letto sui libri, a prendersi anche insulti e sputi.
    Ricordo, saranno stati i primi anni Settanta, con quanta fatica mia mamma tentava di dissimulare la tensione quando si faceva sera, e mio padre tardava a rientrare a casa, e mi raccontava storie e mi leggeva fumetti perchè un bambino di sei anni lo devi proteggere, e come fai a spiegargli che le strade della città dove vive sono piene di pistole e spranghe.
    Ricordo quella sera d’inverno, avevo dieci anni ed ero seduto sul divano insieme ai miei genitori a guardare la televisione. Ricordo che sullo schermo passò una fotografia, sapete, di quelle in bianco e nero, le fototessera le chiamano, ed era un volto che io non avevo mai visto. Ricordo che mia mamma sbiancò, e balbettò “Ma quello è Antonio” e sì, era proprio il suo cugino Antonio, carabiniere anche lui, saltato su una bomba dopo aver fatto sgombrare la piazza. Antonio, che è rimasto vivo per miracolo, che ha impiegato quindici anni per tornare ad una vita quasi normale, che ha il corpo pieno di schegge troppo piccole per essere estratte, che immagino, provando a sorridere della cosa, che suona quando passa sotto un metal detector e si schermisce dicendo “Sa, sono l’uomo bionico”.
    Io so di essere stato fortunato, troppo piccolo sia per il Sessantotto che per il Settantasette, non ho potuto “vivere da protagonista” (ma quanti, poi, lo hanno fatto veramente?) quei giorni, quegli anni. Ma so di aver provato, nel piccolo del mio essere bambino, nel piccolo delle quattro mura della mia casa di periferia di Milano, una sensazione che si chiama paura.
    So che se mio padre si fosse trovato su una camionetta, solo ed in mezzo a decine di ragazzi urlanti e mascherati, solo e di fronte ad un ragazzo che sta per tirargli un estintore addosso, so che se mio padre avesse sparato ed avesse colpito quel ragazzo, io sarei stato con lui. Vaffanculo, Carlo Giuliani, piango la tua morte, piango che tu non possa girare mano nella mano con la tua fidanzata, piango l’osceno dolore di tua madre e tuo padre, sputo su chi ha creato uno stato di guerra dove guerra non doveva esserci, ma io sarei stato con mio papà.