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    19/07/2025

    Dito, luna

    Filed under: — JE6 @ 21:18

    Faccio una premessa: il report di Albanese, quanto meno nella sua traduzione italiana, parte certamente da un bias personale. Da che parte sta FA lo si capisce subito, basta la prima mezza pagina. Sempre facendo la tara della traduzione (immagino che il documento sia stato scritto in inglese, dubito comunque che la stesura sia avvenuta in italiano), la lingua ricorda un certo sessantottismo terzomondista al quale si devono riconoscere tanti demeriti quanti meriti e buone intenzioni: a FA il capitalismo non piace, questo è poco ma è sicuro. Non le piace nemmeno Israele, o almeno il modo in cui è nato (c’è una brutta espressione di cui colpevolmente non ho fatto copia e ora non ho voglia di cercare, ma che sostanzialmente riduce la sua creazione a un atto di occupazione violenta delle terre dove vivano i palestinesi: che è una cosa vera e falsa al tempo stesso).

    Detto questo, ho fatto uno sforzo e il report me lo sono letto. Ed è un report che parla di una cosa ben precisa: della responsabilità delle aziende nell’esercitare la propria attività quando questa entra in contatto con un teatro di guerra. Questo e non altro, e francamente fatico a pensare che chi sostiene una cosa diversa non sia in malafede, perché la sola opzione alternativa sarebbe la stupidità innestata sull’analfabetismo. Purtroppo FA commette un grave errore nella definizione della struttura del documento e questa cosa la fa capire bene solo a pagina 20, punto 2.2 “Responsabilità delle imprese”. Il punto di partenza sono gli UNGP (United Nations Guiding Principles on Business and Human Rights. These principles, adopted by the UN Human Rights Council in 2011, provide a global standard for preventing and addressing human rights harms related to business activities). Potete approfondire a vostro piacimento, ma in sostanza: “Gli UNGP si applicano a tutte le imprese, “indipendentemente dalle loro dimensioni, dal settore, dal contesto operativo, dalla proprietà e dalla struttura”, La responsabilità delle imprese per le violazioni dei diritti umani e i crimini di diritto internazionale esiste indipendentemente da quella degli Stati e a prescindere dalle azioni che gli Stati intraprendono o meno per garantire il rispetto dei diritti umani. Di conseguenza, le imprese devono rispettare i diritti umani anche se lo Stato in cui operano non lo fa, e possono essere ritenute responsabili anche se hanno rispettato le leggi nazionali in cui operano. In altre parole, il rispetto delle leggi nazionali non preclude e non costituisce un’eccezione alla responsabilità.”

    Due terzi del documento sono un elenco di aziende e organizzazioni che vengono meno a questo impegno, a questa cosa che – volendo essere forse un po’ naive – dovrebbe essere un obbligo morale alla base dell’attività aziendale. Vi dirò una cosa: so di cosa si parla: non più tardi della settimana scorsa ho firmato un contratto con una charity internazionale nel quale impegnavo l’azienda per la quale lavoro a non fornire informazioni (indirizzi e numeri di telefono, niente meno) che mettessero l’organizzazione in condizioni di ricevere donazioni da aziende che lavorano in un numero piuttosto elevato di settori merceologici: non starò a tediarvi, ma per ciascuno di quella quarantina di codici ATECO che non posso considerare, rinunciando così a fatturato, c’è un perché. A volte bisogna fare non uno ma due o tre passi a ritroso per trovarlo, ma c’è.

    E insomma, il punto è quello: fare soldi in modo diretto o indiretto con l’occupazione di territori che avviene in violazione delle richieste della corte penale internazionale e di qualche decina di altre raccomandazioni di istituzioni internazionali a partire dalla stessa ONU. A proposito, magari non lo sapete (io non lo sapevo) ma è dal 2016 che le Nazioni Unite, attraverso OHCHR Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, hanno creato un database di questo tipo, che raccoglie i dati di chi degli UNGP si disinteressa bellamente ed è un database purtroppo – ma non sorprendentemente – bello grosso. C’è tanta gente che quei soldi li fa, li facciamo anche noi con Leonardo che è un’impresa statale e quindi anche nostra, di cittadini italiani.

    Finisco: io, dal basso del mio essere un signor nessuno, al posto di FA non avrei usato il termine genocidio per motivi che avrebbero bisogno di più spazio per essere spiegati*; ma incistarsi su quello lasciando perdere tutto il resto, cioè le dieci pagine di vero contenuto di quel documento, beh: luna, dito, cecità, incapacità di cogliere il contesto, magari disonestà. Cose così.

    *Ci provo lo stesso: davvero, il punto non è se questo è genocidio o meno. Quella è una faccenda da tribunale e non è che se ci si macchia di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità la faccenda cambia più di tanto. Per me il punto, fin dall’inizio, è un altro. E’ che se tu sei uno stato democratico (cosa della quale io non dubito, per intenderci) e hai di fronte un’organizzazione terroristica e ti ritieni ed affermi di essere migliore di quel tuo nemico beh, devi essere migliore. Lo devi essere in tutti i sensi, prima di tutto quello morale, etico, chiamiamolo come vogliamo. Anche a costo di soffrire più di quel che dovresti, perché avere ragione non significa essere nella ragione: ti devi comportare di conseguenza; i limiti li puoi stiracchiare ma non li puoi eliminare del tutto, vantandotene persino. E, da fuori, da soggetti non direttamente coinvolti, non si può stare dalla parte di chi approfitta della ragione per poter fare il male senza subirne conseguenze.

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