< City Lights. Kerouac Street, San Francisco.
Siediti e leggi un libro

     

Home
Dichiarazione d'intenti
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

Talk to me: e-mail

  • Blogroll

  • Download


    "Greetings from"

    NEW!
    Scarica "My Own Private Milano"


    "On The Blog"

    "5 birilli"

    "Post sotto l'albero 2003"

    "Post sotto l'albero 2004"

    "Post sotto l'albero 2005"

    "Post sotto l'albero 2006"

    "Post sotto l'albero 2007"

    "Post sotto l'albero 2008"

    "Post sotto l'albero 2009"

    "Post sotto l'albero 2010"


    scarica Acrobat Reader

    NEW: versioni ebook e mobile!
    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione mobi"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione mobi"

    Un po' di Copyright Creative Commons License
    Scritti sotto tutela dalla Creative Commons License.

  • Archives:
  • Ultimi Post

  • Madeleine
  • Scommesse, vent’anni dopo
  • “State andando in un bel posto, credimi”
  • Like father like son
  • A ricevimento fattura
  • Gentilezza
  • Il giusto, il nobile, l’utile
  • Mi chiedevo
  • Sapone
  • Di isole e futuro
  • April 2024
    M T W T F S S
    1234567
    891011121314
    15161718192021
    22232425262728
    2930  

     

    Powered by

  • Meta:
  • concept by
    luca-vs-webdesign

     

    22/02/2019

    Qualche cosa che ho imparato scrivendo un libr(ett)o

    Filed under: — JE6 @ 16:00

    E quindi ho scritto un libro. Un libretto, diciamo: sono ottantasette pagine, due o tre sere con un occhio al Kindle e uno alla Champions. Scrivendolo e autopubblicandolo ho imparato alcune cose, che mi appunto qui come assicurazione sulla perdita di memoria.

    Non si rilegge mai abbastanza. La consapevolezza della cosa potrebbe indurre a decidere che rileggere è inutile ma ovviamente non è così; diciamo che più si rilegge e più pezze si mettono e meno buchi rimangono.

    Il risultato finale non sarà mai quello che volevi, e quello che volevi – anche se non lo vuoi ammettere – è quello che aspettavi di trovarti fra le mani. Anche qui, tutto sta a far pace con se stessi: era il meglio che potevi fare? Ovviamente no, quanto meno potevi rileggere una volta di più; hai fatto del tuo meglio nel mettere in ordine le idee e scriverle? Se sì, allora va bene così. Per il nuovo Infinite Jest, ritenta e (forse) sarai più fortunato.

    Con un numero spettacolarmente basso di copie vendute si raggiungono posizioni spettacolarmente alte nelle classifiche categoriche di Amazon, almeno per qualche giorno. Se si è il giusto tipo umano, è una cosa della quale ci si può bullare con gli amici al bar (posto che i vostri amici abbiano consuetudine con ebook, annessi e connessi: altrimenti lasciate perdere) (anzi, lasciate perdere e basta).

    E’ una cosa divertente che forse farai ancora, ma più probabilmente no.

    Anche se sei uno di quelli che scrivono con facilità, di quelli che al liceo facevano il tema subito in bella, scrivere bene è una roba per pochi. Ma pochi davvero. E tu non sei di quelli, con ogni probabilità.

    Ci sono pochi modi così efficienti ed efficaci per mostrare al mondo che sei dotato di un ego piuttosto sviluppato come autopubblicare un libro: perché mai uno dovrebbe mettersi a nudo in pubblico se non, essenzialmente, per esibizionismo? E’ meglio ammetterlo subito, partendo mettendosi davanti allo specchio.

    Il libro vero è quello che non hai scritto.

    03/05/2013

    Bene, mi racconti di lei

    Filed under: — JE6 @ 16:02

    Il lavoro è anche questo, partire lavorando in un’azienda con certe persone e tornare lavorando per un’altra – stessa ragione sociale ma gente diversa. Succede: cambia un azionista, un presidente, un amministratore delegato e oplà, la tua scrivania è ancora lì ma quello che gli sta intorno è altro da prima. Passi qualche giorno a capire l’aria che tira, a parlare con quel paio di colleghi rimasti delle cui opinioni ti fidi, a sentirti in qualche modo straniero in patria. Poi inizi un viaggio che non capisci dove ti porta, fatto di uffici e scrivanie che conosci ma occupati da persone nuove, e devi iniziare tutto da capo. Presentarti, farti conoscere, dire chi sei e cosa fai. Non è la prima volta che mi succede, anni fa entrai in uno spin-off e mi trovai nella kafkiana situazione di dover rimandare il curriculum, e presentarlo, e discuterlo con persone con le quali lavoravo da quasi tre anni (è la stessa azienda che poi licenziò me e parecchie altre decine di persone in tutta Europa con una videoconferenza, forse avrei dovuto insospettirmi per tempo); la cosa che fa sorridere non è quella di riprendere a fare colloqui non per trovare un nuovo lavoro ma per confermare le ragioni di quello attuale cercando al tempo stesso di capire quali sono i piani altrui che ti riguardano, ma come cambia la gente che in qualche modo conoscevi e che ha cambiato ruolo e posizione, come si modifica il modo di porsi, di parlare, di sottintendere, di esigere, di chiedere, di fare battute – forse l’abito non fa il monaco, ma il biglietto da visita, ecco, quello sì.

    08/02/2013

    再见

    Filed under: — JE6 @ 17:43

    Visti i tempi di aggiornamento di questo blog, tanto vale portarsi avanti col lavoro – se non ci sono cambiamenti dell’ultimo momento il titolare qui venerdì prossimo sale su un Air China Milano-Shanghai e va a passare otto settimane in riva allo Huangpu, in una terra felice non afflitta dai sondaggi pre-elettorali. State bene, fate i bravi, quelle cose lì.

    23/12/2012

    Una storia piccola, se di sinistra non so

    Filed under: — JE6 @ 12:00

    Io sono un pezzo dell’ingranaggio. Una ruota dentata, mossa da una ruota più grossa e che muove ruote più piccole. Ci sono delle aziende grandi che danno lavoro ad aziende medie come quella che mi paga lo stipendio alla fine del mese, e queste aziende medie danno lavoro ad aziende più piccole, e a persone. Ognuno tira la corda per quanto gli è possibile, ognuno fa la faccia cattiva, ognuno prova a raccogliere il maggior numero di briciole tra le poche che questa crisi fa cadere dalla tovaglia. Così, per duecentoventi giorni lavorativi ogni anno, e per gli altri cento dei weekend che nominalmente fanno da cuscinetto di riposo, e così via: perché ci sono periodi nei quali quel pensiero non ti lascia mai. Quale pensiero? Quello di riuscire a tenere in piedi la baracca: far quadrare i conti, risparmiare un due per cento qui, spostare un termine di pagamento di là, controllare i margini, prestare un’attenzione maniacale e prosciugante a ogni singolo microscopico dettaglio.
    Nel penultimo pomeriggio lavorativo dell’anno (penultimo solo sulla carta: ma questo è un altro discorso) inizi a mandare le comunicazioni che ti toccano: a tarda sera, tra le risposte che arrivano ce n’è una, arriva da una donna che hai assunto perché “fa parte del package”; “quando ho letto che mi avresti rinnovato il contratto mi sono sentita sopraffatta. Grazie, questo è il regalo di Natale che potevo solo sperare di ricevere“. Vorresti risponderle, dirle che quelle poche parole non solo ti hanno fatto toccare con mano quanto il lavoro sia importante (in fondo, dovresti saperlo perché lo vivi sulla tua pelle ogni giorno: eppure), che forse tutti gli sforzi di quest’anno tremendo sono ricompensati dalle sue due righe di ringraziamento. Poi riguardi le tabelle dei costi e dei ricavi e dei margini, ripensi ai contratti che hai disdetto meno di otto ore prima. Lavoratori di tutto il mondo, unitevi. Già.

    22/07/2012

    Guardami negli occhi

    Filed under: — JE6 @ 12:40

    Sai quei film americani, quelli che c’è uno che licenzia e uno che viene licenziato, e quest’ultimo è il buono – padre amorevole, casa con il mutuo, gran lavoratore, un cane e un giardino ben curato, station wagon di sei anni -, ecco, due volte su tre c’è la scena che il primo lascia la pink slip sulla scrivania del secondo e poi prende un aereo per Las Vegas, oppure lo chiama nel suo ufficio e gli dà la notizia voltandogli le spalle, guardando fuori dalla finestra, e quell’altro, il licenziando, si incazza e gli dice almeno abbi il coraggio di guardarmi negli occhi. Siamo sempre tutti dalla parte del buono, altrimenti che buono sarebbe, mica stiamo parlando del fascinoso figlio di buona donna e della casalinga di Voghera o la manager di Ancona, guardalo in faccia se hai il coraggio, un po’ di dignità visto che lo stai licenziando e mettendo su una strada. Siamo sempre tutti dalla parte del buono, fino a quando non ci tocca vestire i panni del cattivo. E allora, anche se hai la coscienza a posto, se sai di aver fatto tutto quello che c’era da fare, se hai dato tutte le chances alle quali il buono aveva diritto, anche se tutto questo e pure altro, beh, quanto hai voglia di dargli le spalle e guardare fuori dalla finestra.

    17/05/2012

    Tutto tranne

    Filed under: — JE6 @ 14:55

    Puoi fare tutto in videoconferenza, dice. Quasi tutto, forse. Tutto tranne capire la persona, sentire come reagisce quando inizia a salire la tensione, se le si accorcia il respiro, se tamburella con le dita sul tavolo, se si trattiene dal fare un gesto plateale o scortese, tutto tranne vedere se le si blocca l’appetito quando sul tavolo vengono messi i fogli con numeri che nessuno vorrebbe vedere, tutto tranne rallentare il passo quando la riunione è finita per riservare gli ultimi due minuti, quelli più preziosi, a tre frasi che spiegano quel che prima non poteva o voleva esser detto mentre l’ascensore arriva al piano. Tutto tranne sentire la persona, e riuscire a capirla per davvero quando ci parli al telefono, e saper intendere cosa vuol dire se prima la senti tutti i giorni e poi una volta alla settimana, se scrive ciao come stai oppure buongiorno, tutto tranne riuscire a percepire il momento in cui sei passato dall’essere una persona di cui fidarsi all’essere un fornitore – puoi fare tutto in videoconferenza, dice, tutto tranne le cose che contano.

    14/05/2012

    Senza titolo

    Filed under: — JE6 @ 15:24

    Non so voi, ma io la mattina se posso mi prendo cinque o dieci minuti e seguo in tv la cosiddetta edicola, quella di Sky Tg24. Cinque minuti, venti giornali, i conti potete farli anche voi, il conduttore ha giusto il tempo di leggere i titoli, e in fretta, come in quelle pubblicità in radio che si chiudono con “Aut. Min. Ric.”, se avete presente. I titoli, comunque. Ogni tanto mi chiedo come sarebbero i giornali senza titoli, trenta, quaranta, settanta muri di testo senza caratteri cubitali, senza richiami e riassunti e slogan e specchietti per le allodole, sarebbero roba invendibile immagino, perché alla fine quello compriamo – i titoli, una volta letti e imparati quelli sappiamo tutto, il resto costa troppa fatica. Epperò, hai visto mai.
    [No, è che mi è capitato di sentire Piero Grasso, non so se avete presente la faccenda del “dare un premio a Berlusconi per la lotta alla mafia”, l’ho sentito alla “Zanzara” di Cruciani e Parenzo mentre questa cosa cercavano in tutti i modi di tirargliela fuori e lui ha usato un giro di due o trecento parole, che erano quelle che servivano ma erano troppe per fare un titolo, e infatti, ci siamo capiti] (Sì, ok, a volte mi capita di sentire Cruciani e Parenzo, dura poco perché mi innervosisco in fretta e comunque posso smettere quando voglio, ecco)

    21/04/2012

    Cost saving – Reprise

    Filed under: — JE6 @ 16:23

    Naturalmente, le cose non finiscono mai dove pensi (o meglio: speri) che potrebbero/dovrebbero/sarebbe bello che. E quindi, dopo aver tagliato il tagliabile, ci sono la crisi e il calo delle vendite e la riduzione dei margini e la concorrenza. Ci sono le cavallette e il-mio-mestiere-è-far-risparmiare-il-più-possibile. C’è tutto e poi altro ancora. C’è un lungo momento, un’ora che poi diventa un pomeriggio che poi diventa un giorno durante il quale ti attacchi al telefono e tratti, limi, minacci, blandisci, e fatto questo ti rimetti davanti alla grande tabella con tutte le sue celle e formule, dietro ognuna delle quali ci sono aziende e persone, e cambi ancora le percentuali, e i termini di fatturazione, e valuti l’up-selling, e consideri gli anni di durata dell’accordo come se davvero tu sapessi dove sarete e cosa farete tu, loro, tutti quanti fra tre o cinque anni. Alla fine c’è un’ultima telefonata, questa è la bottom line, va bene, allora vediamoci per discutere i dettagli del contratto, come siete messi la prossima settimana, grazie, ciao, ciao. Quando schiacci il tasto rosso del telefono nell’ufficio si fa silenzio perché nessuno riesce a sentirsi davvero contento, perché tutti pensano a quei dettagli, quelli nei quali si nasconde il diavolo, tutti si chiedono quando si capirà se ne è valsa la pena, tutti si rendono conto di quanto sangue, incredibilmente, si può cavare a una rapa.

    12/04/2012

    Cost saving

    Filed under: — JE6 @ 14:05

    Ho davanti agli occhi questa grande tabella. Righe, colonne, costi, ricavi, margini. Sono alla quinta revisione, senza contare quelle intermedie, piccole, quando cambi giusto una voce più per vedere l’effetto che fa che per reale convinzione o bisogno. Per arrivarci ho impiegato settimane, soprattutto l’ultima – subito prima e subito dopo Pasqua (e parte del durante) – e molte migliaia di chilometri, e qualche centinaio di email e telefonate, e tante riunioni in posti a volte improbabili (una delle cose belle del lavoro che faccio è trovarsi a finire uno di questi incontri e sentirsi dire guarda, è tardi, fermati qui a mangiare prima di rientrare in città così durante la cena finiamo le cose che abbiamo in sospeso, adesso ci prendiamo mezz’ora e ti porto a vedere il lago che scompare, e dieci minuti dopo camminare sul fondo di un lago carsico nel mezzo di un’oasi naturalistica). Ecco, le ultime riunioni sono state le più pesanti. Perché sedersi di fronte a qualcuno e dirgli dobbiamo tagliare del venti-trenta-quaranta per cento se vogliamo restare in gioco non è mai facile – ci hai provato prima scrivendo nel tuo miglior inglese, ma alla fine ogni tanto la gente devi guardarla in faccia, è la gente con cui dovrai lavorare, non puoi startene lì nella tua torre d’avorio (che poi sarebbe la scrivania dell’ufficio, o il sedile della macchina: ma ci siamo capiti), devi accettare i volti che si induriscono, gli occhi che si stringono, le voci che si impostano per risponderti well, your request is simply brutal, devi provare a immaginare cosa sta dietro quelle risposte sapendo che no, non sempre, ma in alcuni casi si tratta di persone, posti di lavoro, automobili, mutui: è come guardarsi allo specchio, insomma. E poi ci sono i dettagli, le piccole cose: ma la tabella è grande, e di piccole cose ce ne sono dentro parecchie. Dove possiamo risparmiare? Guarda qui, magari la metratura degli uffici, e una linea telefonica condivisa invece che due dedicate, e quell’altro albergo, hai presente, sì, va bene – ti sembra di raschiare il fondo del barile, ti sembra di sprecare il tuo tempo dietro alle scemenze e invece, come avresti dovuto imparare già tanti anni fa leggendo le storie di Zio Paperone, il cost saving lo fai anche così, su qualche metro quadro, sulle stelle degli alberghi, sul far benzina da una parte o dall’altra del confine e non importa se poi i risparmi sono simbolici, i simboli contano perché sono simboli e perché costano (ed è una cosa che cercherò di ricordarmi la prossima volta che seguendo un talk show politico sentirò qualcuno dire beh ma non penserete che siano questi i risparmi che ci fanno uscire dalla crisi) – e poi, diosanto, bisogna pur arrivare a sera e potersi dire ho fatto tutto il possibile, prima di salvare il file e prepararsi all’ultima riunione.

    14/03/2012

    Bene-bravo-bis

    Filed under: — JE6 @ 18:28

    Alla fine non so cosa più sconfortante o ridicolo nella storia di Greg Smith che annuncia via New York Times le sue dimissioni da top manager di Goldman Sachs, se la raffigurazione di un’azienda tanto miope quanto avida, o quella del tutto speculare di clienti così stupidi da farsi fregare non una ma cento volte in serie, o il bene-bravo-bis rivolto al pentito di turno che se ne va sbattendo la porta come se un signore nella sua posizione non fosse colpevole quanto e più di tutti gli altri da lui accusati di violazioni  di quell’etica in nome della quale si allontana sdegnato e sussiegoso – che a ben vedere ci sarebbe da dire ce la meritiamo Goldman Sachs, oh se ce la meritiamo.