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31/05/2011
A margine della festa di ieri sera – stavo per scrivere manifestazione; ma, appunto, era una festa: la piazza era piena di ragazzi. Ragazzi proprio, non quella categoria italiana dove pure il sottoscritto è giovane. E che parevano fregarsene bellamente del fatto che il protagonista della serata, il loro nuovo sindaco fosse un sessantaduenne – il fatto è che la gente molto spesso della carta d’identità se ne frega bellamente, così come degli intellettuali Wired-style de noantri.
Ieri sera stavo lì, in Piazza Duomo. Non so quanti eravamo, non mi sono preoccupato di andare a controllare i numeri, eravamo tanti e questo basta. Non sto a dire che gente ci fosse, di foto in giro se ne trovano millemila e ognuno si può fare un’idea. Quello che posso dire è che a me pareva di stare bene, mi pareva che tutti stessero bene: e in modo tranquillo, allegro, quasi stupito, come succede quando passi dodici ore seduto alla scrivania dell’ufficio e poi esci con i colleghi e fuori c’è ancora tanta luce; non c’era aggressività, non c’era rivalsa, non c’era la frenesia rabbiosa da occhi sbarrati e iniettati di sangue che tante volte si vede in occasione di una delle molte celebrazioni che costellano il calendario sociale. C’era soltanto tanta gente che si godeva una vittoria faticata, meritata e inattesa, gente che per una sera non aveva voglia di fare le pulci a se stessa, passando sopra al trito parterre de roi dei Bisio-Costa-Finardi-Gianco-bellaciao, che non aveva bisogno di dire a quelli che “tanto sono tutti uguali” che allora prego, accomodatevi là, fuori, sappiamo benissimo chi ha vinto – noi – e chi non ha vinto – voi – perché era tutto evidente, netto, palese. Diceva bene, come sempre, lei: i sogni si infrangono all’alba – ma non prima – e per stasera la realtà vera non ci interessa. A quella ci pensiamo oggi: e pure oggi, nonostante lo specchio ci restituisca il nostro ritratto fatto di rughe e doppi menti e capelli da portare al parrucchiere, pure oggi siamo campioni del mondo.
28/05/2011
Si può vivere abbastanza a lungo per vedere le buche nelle strade della propria città diventare questione di interesse nazionale.
PS – Per come la vedo io, questo pezzo dice tutto quel che c’era da dire sulla campagna elettorale di Milano. E quindi fa capire anche tutto quel che *non* c’era da dire.
27/05/2011
A me sarebbe tanto piaciuto che Diego riuscisse a raccontare Milano come aveva fatto, chessò, con Lampedusa. Poi ho visto la sua faccia (minuto 4:01, per chi volesse) nella prima inquadratura che lo riprende qui dalle mie parti, e mi son detto “va bene, facciamo la prossima volta” (no, poi il name dropping De Rossi – Mastandrea piace anche a me, sia chiaro, ma questo è un altro discorso) .
26/05/2011
Ci sono parecchie cose che non mi piacciono di questa campagna elettorale che qui a Milano ha toccato abissi di pochezza piuttosto notevoli. Tra queste, l’idea che noi milanesi si abbia la responsabilità di dare con la nostra scelta un’impronta al futuro politico italiano, nei contenuti e nelle forme. Tanto per fare un esempio, un uomo per solito ben più lucido della media come Francesco Cundari scriveva ieri: “Resta comunque il fatto che il risultato di Milano, a questo punto, avrà un valore pedagogico per tutte le forze politiche destinato a durare a lungo: se davvvero, con questi metodi, il centrodestra dovesse recuperare sei punti di distacco, chi fermerà più gli assetati di sangue e i pazzi furiosi di una parte e dell’altra, dalla prossima campagna elettorale in poi? A questo punto, domenica, i cittadini di Milano non voteranno più solo sul loro sindaco. Voteranno sulla politica italiana dei prossimi mesi, se non dei prossimi anni, anche per tutti noi. Ci pensino“. Beh, a me sembra un ragionamento viziato nelle sue fondamenta. Perché delle due l’una: o noi milanesi siamo diversi dal resto degli italiani, e allora ciò che succede(rà) qui non ha né avrà valore a sud di Pieve Emanuele e a nord di Cinisello Balsamo proprio a causa di questa diversità, oppure siamo esattamente come tutti gli altri, e allora ciò che succede(rà) qui potrebbe succedere ovunque, ad Aosta e a Macomer – cosa che trovo più probabile, e decisamente più consolante.
25/05/2011
Come la penso io, a quattro giorni e spiccioli dal ballottaggio che deciderà il prossimo sindaco della città nella quale sono nato, cresciuto e ancora ostinatamente vivo, quel ballottaggio che dovrebbe (potrebbe) segnare la famosa inversione di tendenza, il cambio epocale che farebbe tornare la democrazia in questo sventurato paese, come la penso io l’ha scritto Simone qualche giorno fa in un post dal quale riprendo una frase:
L’unica cosa che so è che non servono le piste ciclabili, più parcheggi, meno smog e le madonne girate. Non avete bisogno di sindaci di destra, né di quelli di centro sinistra, e sinistra. Non è un battaglia tra PdL e PD, quella cittadina. È un tremenda ed inutile, invincibile, guerra tra “buongiorno” e “tanto è uguale”.
Ecco, io la penso così. Penso che cambiare sindaco ci farebbe bene, penso – spero – che saremmo governati meglio. Che sì: piste ciclabili e parcheggi e aria pulita e utilizzo degli appartamenti sfitti e tutto il resto. Ma non penso che siamo cambiati noi, noi presi nel nostro insieme. Voterò Pisapia, con la convinzione che sia una scelta giusta e con lo sfinimento rabbioso che mi rendo conto di provare nei confronti di Letizia Moratti e il resto della sua compagnia. Ma io non mi sento diverso, non lo sono: e come me, i miei concittadini.
23/05/2011
Forse a qualcosa è servito abituarsi, essere caduti dalla padella dei quadri- e dei pentapartiti nella brace di quasi vent’anni di Berlusconi, berlusconidi e berlusconismi restando comunque vivi, è servito aver messo in fila Formentini, Albertini e Moratti (e Dalla Chiesa, Fumagalli, Ferrante) restando cittadini milanesi che votano confidando nel fatto che l’alternanza al governo non sia solo un’ipotesi di scuola. Perché c’è questa paura di prendere un’altra sberla, quella che arriva quando ti aspetti un sorriso e quindi fa molto più male, c’è questo guardare al clamoroso campionario di prese in giro e dietro-front e balle e cialtronerie assortite (le multe, l’Ecopass, la Zingaropoli, la più grande moschea del mondo mondiale verso l’infinito e oltre) dicendosi scuotendo la testa “sai cos’è? E’ che le daranno retta”, c’è questo impedirsi non tanto di essere contenti, ma di avere fiducia, c’è questo provare a non portarsi sfiga prevedendo il peggio, c’è tutto questo che ci fa stare così: sereni.
* Riccardo Bacchelli, dice Wikiquote.
16/05/2011
Era la prima estate che passava a Milano. Era arrivato qualche mese prima, quando l’inverno che temeva si era ormai ammorbidito e la primavera gli aveva regalato l’impressione che quel posto non fosse la bruttura che gli avevano descritto e che si era convinto di trovare. Aveva in tasca un contratto, la famosa occasione alla quale non si può dire di no, ma che lui avrebbe rifiutato senza farsi troppi problemi se non si fosse accorto che i motivi che lo avrebbero tenuto nella città dove aveva trascorso gli ultimi undici anni valevano solo per lui: e questo non era abbastanza. Gli mancavano il caldo secco, il sole abbacinante che gli faceva chiudere gli occhi mentre risaliva i colli, il vento leggero e fresco del tardo pomeriggio, il fiume, l’azzurro inevitabile di certi giorni di gennaio. Ma si scoprì a gustare le imperfezioni del clima, in particolare quella invisibile coperta di umidità che lo faceva svegliare già sudato e lo accompagnava durante tutta la giornata, perché aveva la fortuna di fare un lavoro che raramente lo costringeva alla scrivania dell’ufficio: quel che gli piaceva era sentirsi sfinito e appiccicoso, spogliarsi, e sentire l’acqua della doccia cadergli addosso e pulirlo – era quel minuto, che si ripeteva magari due o tre volte durante il giorno, quel minuto valeva qualsiasi fatica, valeva la pena di stare in quella città non sua, che non gli dava un motivo per restare e nemmeno uno per andarsene. Ogni volta, alla fine di quella doccia che sognava e gustava come se fosse la cosa più preziosa del mondo, si trovava a pensare che in fondo, almeno per un po’, una ragione per vivere a Milano ce l’aveva: era fare il giro delle stagioni, vederle arrivare e passare e scoprirle. Quel giro lo aveva osservato per undici anni, là sui colli e in riva al fiume. Poi le cose, restando identiche, erano cambiate e ora lo affrontava da solo: chissà che colori avrebbe avuto il parco Sempione, a fine settembre.
21/03/2011
Da quando ho cambiato lavoro attraverso Piazza Duomo ogni giorno. Da sinistra a destra la mattina, da destra a sinistra la sera. Alzo la testa e per quel minuto che ci vuole per andare dalla metropolitana al capolinea del tram lo guardo, perché funziona così, è talmente grande e maestoso e bello che ogni volta ci trovi qualcosa che non sapevi. Oggi ero fuori orario, c’era il sole alto e la velocità era più bassa – sai che noi diciamo ora di punta e loro invece rush hour, quando corri, quando devi correre – e in piazza non c’era la gente che andava a lavorare, c’erano i turisti che si facevano le foto e i bambini spaventati dai piccioni, ho attraversato tutta la piazza e mi sono messo in un angolo in ombra, mi son preso quei venti secondi che fanno la differenza tra un tram acchiappato al volo e dieci minuti di attesa alla fermata, c’era solo il rumore di sottofondo delle città, della città, poi là in alto ho visto che c’era una bandiera che sventolava, il tricolore attaccato a quella specie di lancia che sta vicino alla mano destra della Madonnina, prima ho pensato beh ma dai, ma cazzo, ma c’era proprio bisogno, poi son salito sul tram che ormai era pronto a partire e lì, mentre andavo verso la Crocetta e guardavo la gente che lavava le vetrine e comprava il giornale mi son detto ma sai che han fatto bene, che quello dicono che sia il nostro simbolo, che tutti i milanesi sono rappresentati dalla Madonnina – e la religione non c’entra nulla – e allora se è così allora va bene che lassù ci sia quella bandiera, forse dovrebbe starci ancora un po’.
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