Fiscal Chernobyl
(…) È stato in quel momento, fermo a un semaforo nell’intermittente forno dell’estate milanese, che mi è tornata in mente una scena che mi sta accompagnando da poco meno di due anni. Eravamo tutti e nove, quelli del gruppo bizzarramente assortito che aveva investito qualche giorno della sua vita e qualche centinaio di euro dei suoi risparmi per andare a vedere i resti di una catastrofe nucleare; stavamo all’interno di una torre di raffreddamento, un prodigio incompiuto ed enorme, messi in semicerchio davanti a Igor, il ragazzo di Kiev che ci faceva da guida. Qualcuno gli aveva appena chiesto quale sarebbe stato il destino, cosa ne avrebbero fatto di quel posto che ha la stessa indefinibile maestosità di una cattedrale medievale e l’identica mancanza di futuro di un giocattolo rotto, e per una frazione di secondo, prima di rispondere, vedemmo passargli sul volto l’espressione di chi si chiedeva se eravamo veramente così cretini da aver fatto sul serio quella domanda.
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