Due gradi, forse
La più bella, profonda, intima, politica, umana intervista di Barack Obama di cui io sono a conoscenza (e ne ho ascoltate tante: ho una passione per quell’uomo sulla quale negli ultimi anni si è innestata una sensazione di mancanza a volte imbarazzante) è stata registrata in un garage nel giugno del 2015. L’intervistatore, che per lunghi tratti suona più come una specie di amico ritrovato o di uomo che ha ritrovato un amico, è Marc Maron, un comedian all’epoca cinquantaduenne, in pratica un coetaneo del presidente, famoso forse più per il suo podcast WTF che per le sue performance comiche (peraltro piuttosto buone, ma questo è un giudizio mio).
Ci sono mille cose notevoli in quell’ora di chiacchierata, a partire dal fatto che il Presidente degli Stati Uniti d’America prende e va a in un sobborgo californiano per farsi intervistare in un modo tanto divertente quanto interessante da quello che noi chiameremmo un comico (ma comedian è, in generale, ben altro: le parole sono importanti, si sa) nel garage di casa sua dando il sigillo di nobiltà assoluta a un programma dal nome molto diretto ma poco istituzionale di What The Fuck, dichiarandosi tra l’altro fan della trasmissione; se state facendo lo sforzo di immaginare se una cosa del genere sarebbe possibile in Italia smettete pure di perdere tempo: non succederà, almeno fino a quando noi saremo vivi (cosa che ci auguriamo continui ancora a lungo), e le comparsate di questo o quel politico al Bagaglino non contano se non per peggiorare gravemente i termini del confronto. Fra tutte, comunque, la cosa che più mi è rimasta impressa è la frase con cui Obama spiega a Maron che anche se l’epoca sembra chiedere altro, i cambiamenti politici come quelli sociali hanno bisogno di tempo e vanno giudicati nel lungo periodo: “le democrazie non virano di cinquanta gradi: se va bene lo fanno di due”. A pensarci bene, non è la frase in sé che mi è rimasta scolpita, ma il tono con cui è stata pronunciata: un tono non di fastidio o delusione, per lamentarsi dei formalismi e delle inefficienze della democrazia, ma di consapevolezza che questa non è fatta di salti e scalini ma è un processo di milioni di aggiustamenti continui, che siamo tanti e diversi, che metterci d’accordo è tutto tranne che facile ma è la cosa giusta da fare o almeno da perseguire, che nel lungo periodo è vero che saremo tutti morti ma almeno lo faremo andando nella direzione giusta. Il tono di uno che crede nei fatti e nella scienza e al tempo stesso nella necessità di sentire qualcosa insieme ai suoi concittadini e connazionali, di uno che non ha vergogna nel definirsi un ottimista. Non so se l’ho già scritto, ma quell’uomo – e comunque uno così, uno fatto in quel modo – mi manca. Tanto.