< City Lights. Kerouac Street, San Francisco.
Siediti e leggi un libro

     

Home
Dichiarazione d'intenti
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.
(Gabriel Garcia Marquez)

Talk to me: e-mail

  • Blogroll

  • Download


    "Greetings from"

    NEW!
    Scarica "My Own Private Milano"


    "On The Blog"

    "5 birilli"

    "Post sotto l'albero 2003"

    "Post sotto l'albero 2004"

    "Post sotto l'albero 2005"

    "Post sotto l'albero 2006"

    "Post sotto l'albero 2007"

    "Post sotto l'albero 2008"

    "Post sotto l'albero 2009"

    "Post sotto l'albero 2010"


    scarica Acrobat Reader

    NEW: versioni ebook e mobile!
    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2009 versione mobi"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione epub"

    Scarica "Post sotto l'albero 2010 versione mobi"

    Un po' di Copyright Creative Commons License
    Scritti sotto tutela dalla Creative Commons License.

  • Archives:
  • Ultimi Post

  • Madeleine
  • Scommesse, vent’anni dopo
  • “State andando in un bel posto, credimi”
  • Like father like son
  • A ricevimento fattura
  • Gentilezza
  • Il giusto, il nobile, l’utile
  • Mi chiedevo
  • Sapone
  • Di isole e futuro
  • May 2024
    M T W T F S S
     12345
    6789101112
    13141516171819
    20212223242526
    2728293031  

     

    Powered by

  • Meta:
  • concept by
    luca-vs-webdesign

     

    12/11/2013

    Una macchia rossa

    Filed under: — JE6 @ 16:23

    E’ una di quelle giornate di sole che resta basso, una macchia di luce della quale non riconosci nemmeno i dintorni spiaccicata dentro un cielo azzurro e prosciugato, all’uscita delle scale della metropolitana c’è un barbone appoggiato al corrimano e poi sono solo luci fortissime e ombre nere, la via è una foto senza dettagli, fatta di soli contrasti, le persone che ti vengono incontro ridotte a silhouettes prendono vita solo quando sono alle tue spalle ma per vederle devi girarti, un marciapiede caldo e uno freddo, e là, in fondo, una sola macchia di colore, il rosso di un semaforo.

    05/09/2013

    Quattro, poi tre

    Filed under: — JE6 @ 09:08

    Sento il rumore arrivare da lontano. E’ una moto, deve essere all’altezza della centrale termica, poi farà una curva a destra, una rotonda verso sinistra, il rettilineo che lo porta qui. Dicono che qui ci sia una specie di anello di strade usato per fare delle gare clandestine, così vado sul balcone per guardarmi lo spettacolo, ma alla fine ne passa una sola, lenta, come se il padrone si stesse godendo il fresco delle due di notte andando a zonzo con la visiera del casco alzata. Mi fermo, faccio girare lo sguardo. Da questo punto, senza muovere la testa, posso contare centodieci appartamenti, i due e tre e quattro locali. Ci sono quattro luci accese, due cucine, un salotto e un bagno: lo so perché queste case si assomigliano tutte, dentro e fuori. Adesso che è passata la moto rimane solo il silenzio, non c’è nemmeno il suono degli irrigatori dei giardini. Chissà chi c’è dietro, sotto quelle luci. Qualcuno che non riesce a dormire, magari uno rientrato da un turno lavorativo che adesso si sta preparando un piatto di pasta. Torno sul divano, a New York una bielorussa e una slovacca si stanno prendendo a pallate. Mi rialzo, prendo una bottiglia d’acqua dal frigorifero, torno sul balcone. Le luci accese, adesso, sono tre.

    29/01/2013

    Any colour you like

    Filed under: — JE6 @ 11:37

    Passavo in viale Tunisia, ieri pomeriggio. Sulla destra, andando verso Piazza della Repubblica, c’è questo palazzo, avrà tre piani. Avrà avuto, perché è completamente sventrato, sono rimasti i due lati su quattro che si accostavano alle case adiacenti, si vede che ci ricostruiranno sopra o dentro qualcosa di nuovo – case più lussuose, un parcheggio a silos, cose così. Sono rimasti i colori, i colori delle imbiancature fatte da chi abitava quegli appartamenti. Si vedono proprio le macchie rettangolari, tre metri e venti per due e cinquanta, una azzurra, una che probabilmente era rosa, un giallino, alcuni grigi che chissà se era proprio quello il colore oppure hanno strappato una tappezzeria ed è rimasto solo il muro grezzo. Quando ti avvicini ti basta alzare appena l’angolo degli occhi per vedere questa specie di tavolozza, e immaginare – quello sarà stato un salotto, e quell’altra stanza, con quel colore, la cameretta di una ragazza, non ne posso più di questa tonalità, mi mette la tristezza, voglio qualcosa di allegro, e quel muro chissà quante volte sarà stato ridipinto, magari prima ci viveva una nonna, la vita degli altri vista attraverso una mazzetta Pantone per giganti.

    16/01/2013

    Tutto, ma proprio tutto, tranne

    Filed under: — JE6 @ 12:16

    Molti anni fa al corso di Economia Aziendale ci presentarono la case history di Swatch, e ricordo bene che il professore ci disse – fra le altre cose – “guardate la genialità, trasformare un orologio in un accessorio di abbigliamento, come se fosse una cravatta o una collana”. Stamattina guardavo il nuovo sito di Milano Centrale, dove si trova tutto, ma proprio tutto, tranne le informazioni sui treni, e ho cercato di rintracciare lo stesso tipo di genialità. Senza riuscirci, ma immagino che sia un limite mio.

    05/01/2013

    Terza colonna da destra, il sesto dall’alto (in loving memory of Giò Giò)

    Filed under: — JE6 @ 16:40

    Ogni tanto capita, sono in macchina con un amico, metto su un cd di roba vecchia e buona, uno dei due dice ti ricordi la prima volta che l’abbiamo sentito e l’altro risponde uh sì, l’abbiamo preso da Giò Giò. Era un negozio per modo di dire, stava in via Broletto e dal marciapiede potevi vedere l’enorme murale di Armani che stava diventando parte integrante dell’arredo urbano milanese; non c’erano insegne, varcavi il grande portone di legno di uno di questi palazzi la cui bellezza può essere capita solo dai milanesi – e gli altri che s’arrangino, non ci si può prendere cura di tutte le povertà di spirito altrui -, poi passavi un cortile quadrato e andavi in fondo a sinistra, passando da una porta anonima. C’era un bancone, e dietro questo due tipi dei quali non ho mai saputo intuire l’età, e poi c’erano le pareti. Ecco, quelle pareti. Centinaia, migliaia di piccoli ganci metallici, un po’ come quelli che metti in cucina per appendere una presina o uno strofinaccio se non hai pretese di eleganza, e migliaia di bustine di plastica trasparente, su ognuna delle quali stava una piccola etichetta adesiva con un codice, dentro ognuna delle quali stava la copertina di un cd. Non ricordo più quale fosse il criterio di affissione, se alfabetico, o Italia/Resto del Mondo, o per genere. So solo che stavamo incantati davanti a quei muri per ore, a guardare copertine, a compulsare le novità, a chiederci e questi chi cazzo sono, facendo i conti di quanto avevamo in tasca, allora facciamo che io prendo questi due e tu quegli altri tre, la prossima volta tocca a me, ma io non ho voglia di ascoltare del blues africano. Poi prendevi quella bustina e la portavi al bancone e uno dei due tipi dall’età indefinibile in cambio ti dava il cd nella sua scatola, senza copertina. Pagavi il noleggio, tre giorni incluso quello di acquisto, per ogni giorno di ritardo nella restituzione qualche lira di multa. Dopo mesi riuscivi a raccattare un po’ di coraggio e chiedere a uno di quelli dietro il bancone se aveva qualche suggerimento, a me piace roba tipo Springsteen, boh, di nuovo e buono non c’è molto ma guarda che è uscito il primo da solista di Little Steven, là, terza colonna da destra, il sesto dall’alto, e poi via di corsa verso casa, rigirandosi le copertine in mano mentre la metropolitana ci riportava da Cordusio verso Bonola, con la fregola di entrare in camera e attaccare lo stereo a balla, cento watt buoni per cassa. Un giorno Giò Giò chiuse, di punto in bianco, sapevano tutti che era un’attività non esattamente legale, e via Broletto tornò ad essere solo una via del centro storico di Milano, una di quelle vie la cui bellezza – niente, ci siamo capiti. Qualcuno provò a riaprirlo in periferia, ma durò poco, e comunque Giò Giò sarebbe stato per sempre solo quello di quel cortile tra il murale di Armani e la chiesa. Non so quanti dischi ho ascoltato grazie a Giò Giò, so che dopo non c’è stato nient’altro, nessun p2p, nessun iTunes Store, niente che rendesse la scelta e l’attesa della musica bella quanto le sue pareti piene di ganci metallici, di bustine di plastica, di copertine sgualcite.

    29/03/2012

    Ci vediamo domani

    Filed under: — JE6 @ 23:48

    Cammino lungo il corridoio, le pareti viola sulla destra e questa specie di separé sulla sinistra, con le poltroncine blu attaccate alla parete, lo spazio per la bara in mezzo e una grande vetrata che dà sul resto del cimitero. Fa caldo. Sulle porte c’è un cartello, “Sala del commiato”, e in effetti è quello che faremo tutti tra poco, una mano sopra il legno, magari l’indice che indugia per un secondo o due nell’incavo di una vite, e poi “ciao”, con il tono assurdo del ci vediamo domani, e uno aggiunge “ciao, pistola” prima di affrettare il passo e ricacciare le lacrime in gola perché loro erano quello, ragazzi che parlavano milanese, adesso che siamo tutti manager e account e developer e expert quel saluto sembra venire da un altro mondo e da un’altra vita, peccato che qui di vita ce ne sia una in meno però dicono che tutto si eterna nel ricordo e allora proviamo a crederci che la città dei lampioni a gas e dei navigli scoperti e dei fontanili sia ancora qui, lei e quelli che la abitavano, non è vero che non ci sono più, guardali, siamo a Lambrate, Milan l’è on gran Milan, cosa importa se a me questa collinetta verde con un albero enorme ricorda un cimitero della Georgia sulla strada per il Tennessee, c’è il silenzio e l’aria tersa di via Mar Jonio nel millenovecentocinquanta anche se la tangenziale la puoi quasi toccare con la mano da tanto è vicina, la tangenziale che ci serve a tornare a casa, oppure ad andare ad un appuntamento in Bicocca, ma non ti preoccupare che ci vediamo domani, “ciao, pistola”.

    [In memoria del Franco, con l’articolo davanti, ché a Milano si fa così, e così sarà nei secoli dei secoli]

    17/01/2012

    “Il problema è un altro”

    Filed under: — JE6 @ 14:54

    Avete presente quando, dopo aver passato settimane a dire “lo spread che sale, lo spread che sale” ci siamo tutti battuti la mano sulla fronte e abbiamo realizzato che “i tassi che salgono, i tassi che salgono”? Ecco, tempo un paio di giorni e qui a Milano ci renderemo conto che cento macchine in meno nel centro di Milano non significano necessariamente cento macchine in meno a Milano, e che le polveri sottili – screanzate – non si fermano ai varchi, e se da Viale Gian Galeazzo vogliono andare in Molino delle Armi o viceversa, beh: lo fanno. E non pagano nemmeno i cinque Euro dell’Area C.

    07/01/2012

    Shopping e cascine

    Filed under: — JE6 @ 17:53

    In fondo, sai la sorpresa – avere le cose sotto gli occhi e non dico guardarle, ma nemmeno vederle mai proprio perché ci passi davanti tutti i giorni. Eppure a volte succede, senza un motivo, succede che stai correndo nel parco e ti fermi per qualche secondo a rifiatare e bere alla vedovella, a due passi dal cimitero di guerra inglese, guardi a destra e ti trovi nel mezzo di un corridoio che ti basta allungare la mano e tocchi le montagne della Val d’Aosta – sono lì, nitide, vicine, con la neve in cima e i riflessi e la sagoma aguzza come se fosse stata disegnata da un bambino di cinque anni -, guardi a sinistra e vedi le cascine, il bosco e i campi coltivati e se il vento tira dalla parte giusta ne senti anche gli odori e sì, sei a Milano, a casa tua, where do you come from, Milano, oh wow I’d like so much to go there, it’s such a great place for shopping isn’t it, well yes, I imagine it is, but there is something more you know.

    02/07/2011

    Andiamo avanti

    Filed under: — JE6 @ 23:37

    C’è quest’uomo, che di solito sta davanti all’ingresso del Seminario Arcivescovile di Milano, in Corso Venezia. Da lì bastano forse cinquanta secondi per arrivare in via della Spiga, in tre minuti stai in via Montenapoleone. Porta un cartello al collo, a volte ha anche uno di quei treppiedi da pittore, quelli sui quali si appoggia il quadro da dipingere, e lui ci mette sopra un altro cartello, anche quello scritto a mano. L’ultima volta che lo avevo visto – da quelle parti non passo tanto spesso – la scritta diceva “non sono comunista” e lì per lì, dopo aver tolto dagli occhi l’immagine di Veltroni, mi veniva da sorridere perché suonava come una forma bizzarra ma ben studiata di captatio benevolentiae nella città che era talmente poco di sinistra da aver accettato quasi vent’anni di Formentini-Albertini-Moratti. Oggi sono ripassato, ciondolavo facendo il turista a casa mia, e si vede che il nostro eroe si è adeguato ai nuovi tempi della politica cittadina, perché il cartello che teneva sul petto con uno spago che gli girava intorno al collo recitava “Ho sessantatre anni e non prendo alcun contributo. Andiamo avanti” – ed è da quasi dodici ore che penso a quell’ultima riga, “andiamo avanti”, che chissà cosa vuol dire, se è rassegnazione, se è siamo tutti nella stessa barca, se è datemi una mano perché non posso continuare così ancora a lungo, ma forse alla fine sono due parole che non hanno bisogno di tante analisi, andiamo avanti, e infatti se domani passate in Corso Venezia 11 mi sa che lo trovate ancora lì, e pure dopodomani, e anche martedì, un po’ come tutti. Andiamo avanti.

    01/06/2011

    Cosacchi a San Siro

    Filed under: — JE6 @ 13:39

    Io, a tutti quelli che “sono tornati i comunisti“, farei presente che questi non se ne sono mai andati: pochini, ma ci sono sempre stati, è che quelli che oggi oddio ommamma si vede che erano troppo impegnati a curarsi la cotonatura dei capelli per accorgersene. Comunque, già che ci siamo (e che ci sono, e sono tantissimissimi: i comunisti, potremmo suggerire al neosindaco di inserire nel piano quinquenale di sviluppo che senza dubbio stilerà nei prossimi giorni la creazione di un gulag principale (chessò, San Siro) accompagnato magari da una decina di satelliti (vediamo: le Stelline per motivi simbolici, qualche store di stilista, tre punti vendita Esselunga ché Caprotti mica può restare impunito) così almeno gli oddio ommamma danno aria ai denti con qualche motivo.