Farsi del male da soli
Ieri non era giorno di commenti. Oggi sì. Ve lo appiccico qui sotto, perchè io non avrei saputo dirlo molto meglio.
Ci dispiace moltissimo per Sergio Ercolano, il ragazzo napoletano morto dopo gli incidenti di Avellino. Ma ci sentiamo più vicini, in molti sensi, al vicequestore Rega, ai poliziotti e ai carabinieri aggrediti da una parte (minima, ma non troppo) della meravigliosa (si dice così, vero?) tifoseria napoletana. Insomma, il povero Ercolano se l’è davvero cercata, a meno che camminare sopra una tettoia di plexiglas per entrare in uno stadio senza biglietto rientri fra i diritti inalienabili del cittadino. E i ritardi nei soccorsi, che tanto hanno fatto imbestialire i suoi compagni di tifo, sono stati dovuti sia ai fumogeni, lanciati dai suoi stessi intelligenti compagni, che alla chiusura della porta che portava al fossato, dove il ragazzo era caduto. Valle Giulia non c’entra niente, ma proprio niente, con Avellino-Napoli, e soprattutto noi non siamo Pasolini, ma quegli agenti inseguiti e picchiati, senza ragione, sono vittime della violenza di altri. Sergio Ercolano, che con la violenza non c’entrava comunque niente, è invece una vittima di se stesso.
Stefano Olivari, Indiscreto.it
23/09/2003
On The Blog – Quattordici: Sudore e foto d’epoca
Che tempi, Red. Dico davvero.
E-Radio fu il primo periodo di tranquillità che ebbi in sorte, dopo anni di montagne russe personali e professionali.
La stessa tragedia di Momo, nella sua oscena irragionevolezza, prese la forma di un fatto della vita, che accettai con la stessa consapevole serenità con cui i miei nonni subivano le carestie, le invasioni di cavallette dall’Africa e la malaria da curare con le punture di chinino: un frammento di un’esistenza che continuava a cercare un minimo di equilibrio tra saggezza e desiderio, nelle contaminazioni tra ciò che ero stato e ciò che mi trovavo ad essere.
La compagnia di persone che avevano, in media, dieci anni meno di me mi regalò energie che non credevo più di avere, se mai le avevo possedute; come canta Bob Dylan, ero molto più vecchio allora, sono molto più giovane adesso. Ti piace Dylan, Red? Occhio e croce, direi che non è il tuo tipo, ma non si può mai sapere.
Comunque, forse, non era una questione di età . Appoggiato alla consolle durante una pausa delle trasmissioni, ripensavo alle persone che avevo incontrato durante la “fuga”, e mi pareva di realizzare che la vera differenza (quella che, in altri tempi, avrei chiamato “plus” o “added value”) stava nella loro voglia di fare, di buttarsi, di provare, nel loro desiderio di essere, di tirarsi su, di farsi con le proprie mani e le proprie forze.
Forse era tutto molto più semplice e molto più difficile di quanto mi fossi immaginato. Non c’era bisogno di alcun manuale, di un “La vita, istruzioni per l’uso”; potevo figurarmeli tutti (Kurt, Antonella, Charito, Gaspar, Momo) come i ciclisti di cui mi raccontava mio nonno, Binda, Guerra, e soprattutto il suo eroe Costante Girardengo: sudore e foto d’epoca, il sole caldissimo delle estati piemontesi, un’etica che non c’è più. Girardengo, che aprì una fabbrichetta di bici per tirare a campare una volta finita la carriera in sella, Girardengo che fece lavorare gli ospiti del carcere di Alessandria, per dare loro un bagaglio tecnico al momento dell’uscita. Gente vera, insomma, personalità in apparenza confuse e che però hanno un modo tutto personale di distinguere il bene dal male, il brutto dal bello. Bella gente, niente di più e niente di meno.