At the Kingston Mines
Il primo spettacolo è quello che mi piace di più, c’è ancora poca gente, non fai la coda in cucina per prenderti da mangiare e se ancora il pubblico non si è scaldato c’è un’atmosfera rilassata, come di godiamoci in santa pace quest’oretta che arriva. Sul palco c’è lo stesso uomo che avevo ascoltato qualche anno fa, suona qui due volte alla settimana, e sono contento di risentirlo. Arrivano altri turisti, come noi, e so che qualcuno pensa che questo sia un male, che questo rende meno vero quello che succede ma non è così, il blues è il blues, la birra è la birra, ogni volta succede così, due accordi e potremmo essere in un pub della provincia lombarda e non cambierebbe nulla. A un tavolo vedo un gruppo di ragazzi, e li vede anche Carl che sta sul palco con la sua chitarra, alcuni di loro sono dei disabili e gli altri sono i loro accompagnatori, li vede e a metà del set scende dal palco senza smettere di suonare, e senza smettere di suonare si avvicina al tavolo e sposta una sedia rimasta libera e ci si siede e per quattro, cinque lunghissimi minuti suona per loro e solo per loro, loro che non possono tenere il tempo con i piedi immobili sul pianale della sedia a rotelle, che non possono battere la mano sul tavolo di legno, a guardare la scena da qui, da qualche metro di distanza sembra di assistere a una serenata e tutti ringraziano le luci abbastanza basse da nascondere i lucciconi che cadono sulle buffalo wings che restano nel piatto a freddarsi fino a quando Carl si rialza e si allunga sul tavolo e tocca una spalla, una mano di ognuno di questi ragazzi e si direbbe che li ringrazi e tutti nel locale sono all smiles e ordinano un altro giro prima di uscire in questa via lontana dalle mille luci del Magnificent Mile a guardarsi in faccia senza sapere bene cosa dire.