Dati causa e pretesto, le attuali conclusioni
“Se fossero sinceri ce lo direbbero. Ci direbbero che con tutta la gente che muore, chissene frega dell’arte. Ma sbagliano. Perché è per questo che noi combattiamo, per la nostra cultura, e per il nostro stile di vita. Puoi sterminare una generazione di persone, radere al suolo le loro case, troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi i loro conseguimenti, e la loro storia, è come se non fossero mai esistite, solo ceneri, che galleggiano. Quello che vuole Hitler, ed è la sola cosa che non possiamo permettergli.” A volte cerchi di elaborare in pensiero una roba che ti gira nello stomaco, senza riuscirci perché te ne mancano gli strumenti o perché quando ti pare di esserci vicino succede qualcosa che ti scombussola le priorità più o meno faticosamente costruite. Una di quelle robe che gira nello stomaco per me è la distruzione delle opere d’arte dell’antichità, i Buddha di Bamiyan, il Tempio di Bel di Palmira, i musei in Iraq, sono cose che leggo il titolo e poi mi tappo le orecchie e faccio lalalalalala perché mi fanno male in un modo che nemmeno capisco – fino a quando non arriva George Clooney a spiegarmelo in un minimonologo di Monuments Men (per dire che le vie del Signore sono davvero infinite).
Che poi di quello stile di vita per il quale combattiamo, più o meno consapevolmente, fa parte anche il passare ore ad accapigliarsi sulla pubblicazione di una fotografia e/o su un titolo che la accompagna, proprio perché ce lo possiamo permettere, perché stiamo (ancora) al sicuro e al caldo e al fresco a seconda della stagione. Come sopra, non ho un pensiero elaborato, mi sa che non c’è una ricetta valida sempre e per tutti, c’è chi quella foto non ha bisogno di vederla per sapere davvero cosa succede in Siria e nel mare e sulle montagne che la separano da un’esistenza meno lontana dalla morte e c’è invece a chi quella foto serve per aprire gli occhi e chi può dire che il primo è bravo e il secondo no o viceversa. In generale non credo che queste discussioni siano tempo perso perché ci permettono di pensare a chi siamo, alle cose che facciamo, a quelle che leggiamo e guardiamo e ascoltiamo, a come reagiamo, a come le assorbiamo un po’ alla volta ogni giorno e a cosa diventiamo il giorno dopo, insomma un pezzo del modo in cui stiamo al mondo (ed è una cosa, questa del pensare anche nelle situazioni più tragiche e incasinate, che ci portiamo dietro da più o meno tremila anni, secolo più secolo meno, ce l’hanno passata i Greci che nelle pause tra uno scannamento e l’altro inventarono la filosofia occidentale). In tutto questo mi viene in mente che in tantissimi racconti dell’Olocausto c’è il ma noi non sapevamo, non immaginavamo pronunciato da brava gente in tutta Europa, gente che non aveva né voglia né interesse di girare la testa come fecero migliaia di contadini della Slesia per continuare a vivere in una specie di pace ottusa e ai quali, forse, vedere per tempo qualche fotografia di Birkenau avrebbe fatto bene (che poi chissà, visto che la più frequente reazione che i sopravvissuti ai lager si vedevano opporre ai loro racconti era un misto di rifiuto e incredulità così netto da uccidere una seconda volta quelle persone, aggiungendo quella che alcuni di loro avvertivano essere l’atroce beffa dell’essere rimasti una seconda volta in vita).
Onestamente spero di non essere il solo, ma a volte mi succede questa cosa, leggo i commenti a una certa questione e cambio idea a (quasi) ogni commento – ma mica perché sono d’accordo con il commentatore. Anzi.
September 3rd, 2015 at 22:59
Io la cosa del lalalalalala l’ho vissuta malissimo, quasi come mi sentissi in colpa per il pensiero, ce lo avevo lì senza comprenderlo. L’ho vissuta male fino a qualche minuto fa, quando ho letto il post e ho capito il perché. Ah, Monuments Men ce l’ho lì, nella lista Da Vedere, mi sa che è saltato in cima alla fila.
September 4th, 2015 at 13:54
Dicono che come film non è granché, ma io alla fine son di bocca buona e ha quel pezzo lì che vale il paio d’ore.