Foto di gruppo
Vivo a Milano, e domani voterò Sala. Non per lui: non credo ai superuomini, a coloro che, se vogliono, tutto possono: non esistono nelle dittature, figuriamoci nelle democrazie (togli Eichmann a Hitler e vedi cosa rimane, per intenderci). Non credo nemmeno che, tranne in rarissimi casi – e forse nemmeno in quelli – la storia delle amministrazioni sia fatta di blocchi discontinui: ognuno lavora, volente o nolente, su ciò che eredita, cercando poi di metterci del proprio. Voterò Sala in parte per le cose che dice che lui e la sua amministrazione faranno e in parte, sicuramente maggiore, per la sensazione che quella città che lui oggi mi racconta sia più vicina, o meno lontana, da un modo di stare al mondo che, se non è esattamente il mio – illusione che ho lasciato cadere insieme a quella di Babbo Natale -, sembra essere non troppo lontano da questo, e comunque più vicino rispetto a quello incarnato dal suo avversario: o, per essere più precisi, dal coacervo che lo sostiene. Perché si ha un bel dire che tutto sta nel “fare le cose”. No, non sta tutto lì: non sta tutto nel fare piste ciclabili, terminare linee metropolitane, allargare parchi; quello è un pezzo, importante ma pur sempre un pezzo. Poi c’è il modo in cui le vivi quelle cose. Negli ultimi anni io a Milano ho vissuto meglio. Ho vissuto oggettivamente meglio, per quanto l’avverbio debba per forza essere riferito al microscopico reame costituito dal mio cranio. Ho vissuto meglio perché sono state fatte cose, il cui merito della realizzazione va condiviso tra chi ha governato durante questi cinque anni e chi lo ha fatto prima e su su per i rami delle amministrazioni locali e nazionali, e ho vissuto meglio perché avevo la sensazione di stare in un posto migliore, che era tale a prescindere dalla torre Unicredit. Guardo le foto di gruppo di Sala e di Parisi: fisso prima il centro e sì, probabilmente è vero che quel che vedo in mezzo alle due foto è qualcosa che si assomiglia molto, e che Parisi potrebbe essere un buon sindaco tanto quanto Sala; poi sposto gli occhi prima da una parte e poi dall’altra, guardo il gruppo, i gruppi, ed è in quel momento che divento sicuro che con un gruppo non mi sentirei mai a mio agio; con l’altro forse sì, e allora vale la pena scommettere su quello.